Downsizing - Vivere alla Grande (Recensione)

La Recensione di Downsizing – Vivere alla Grande, di Alexander Payne

Abbiamo partecipato all’anteprima di Downsizing – Vivere alla Grande, il nuovo film del regista Alexander Payne, con Matt Damon tra i protagonisti. Questa è ovviamente la nostra recensione.

Downsizing è una satira drammatica della società moderna, ed a differenza da quello che traspare dai trailer rilasciati è un film molto profondo e che fornisce allo spettatore diversi punti di riflessione. Matt Damon svolge il compito assegnatogli con una discreta bravura ma la sorpresa del film è l’attrice Hong Chau, nota per il ruolo di Jackie in Big Little Lies. Per il ruolo di Ngoc Lan Tran – Attivista Vietnamita – la Chau ha ricevuto la nomination al Golden Globe.

La storia inizia, come abbiamo avuto modo di vedere nei teaser, con Paul Safranek (Matt Damon) e la moglie Audrey (interpretata da Kristen Wiig, la Ruth del film sull’alieno Paul) che in difficoltà finanziarie decidono di aderire al programma di miniaturizzazione, messo a punto in Norvegia qualche anno prima. Diventare dei “minuscoli” ha dei vantaggi economici non indifferenti, con il capitale che viene più che decuplicato si può accedere a delle condizioni di vita di alta società, con la possibilità di risiedere in ville con piscina e dimenticarsi di lavorare.

Durante il film vengono affrontati diversi aspetti di etica e di vita sociale, che non vengono per nulla banalizzati ed inseriti in un contesto narrativo serio e di critica verso la paura del “diverso” propria dell’uomo moderno. I personaggi, anche se inseriti in un contesto fantascientifico, sono reali, vivono i problemi della quotidianità e cercano di sfruttare capacità e ambizioni per sopravvivere od arricchirsi all’interno del tessuto sociale in cui si trovano inseriti. Lo scanzonato vicino di Paul – Dusan – interpretato da un sornione Christoph Waltz, va ben oltre le apparenze di superficialità in cui sembra collocarlo Payne all’inizio della pellicola.

Sorprende il modo in cui verso la metà del film, gli eventi prendono una strada differente da quella immaginata fino a quel momento e dove si ha un passaggio ad argomenti più seri e ci si rende conto che non ci troviamo di fronte all’ennesima versione di Arietty o dei Rubacchiotti.

Romanticismo e qualche risata arricchiscono un film che nonostante i 140 minuti di durata non appare mai prolisso o pesante. Da segnalare le scenografie per le quali la nostra Stefania Cella ha ricevuto la candidatura Art Directors Guild Awards per la miglior scenografia in un film contemporaneo.


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