The Happy Prince recensione

La Recensione di The Happy Prince, il film di Rupert Everett

Abbiamo visto in anteprima stampa The Happy Prince, il dramma scritto, diretto ed interpretato da Rupert Everett riguardante gli ultimi anni di vita di Oscar Wilde, con il conseguente esilio-agonia tra Napoli e Parigi. Questa la nostra recensione.

Il film ha flashback fugaci di una notte di solitudine di Wilde lungo i boulevard francesi, dell’infame processo con l’accusa di sodomia, e del viaggio traumatico in prigione, ma The Happy Prince è in gran parte ambientato nel periodo tra la liberazione di Wilde nel 1897 e la sua morte nel 1900 a causa della meningite.

La sceneggiatura di Everett salta avanti e indietro in tempo, con Wilde in apertura del film nel momento di estrema decadenza per le strade di Parigi in viaggio verso il suo squallido hotel. Dopo essere stato riconosciuto da una simpatica ammiratrice, il marito della donna si precipita e minaccia Wilde dicendogli che se proverà a parlarle un’altra volta farà una brutta fine. Segue a questo incontro un flashback del marito alcuni anni prima che ride e applaude all’inaugurazione di The Importance of Being Earnest – pesante, ma potente. È sicuramente ciò a cui Wilde pensa in quel terribile momento.

Fuori di prigione, Wilde sorprende i suoi amici riprendendo il rapporto distruttivo con Bosie (Colin Morgan), che causa la fine della piccola indennità ricevuta dalla sua ex-moglie Costanza (Emily Watson) e mette in pericolo le entrate di Bosie. È l’inizio della fine e questo elimina ogni possibilità che Wilde riveda i suoi giovani figli, perché la malinconia è controbilanciata dalla voglia di divertirsi.

Oscar tratta i suoi fedeli alleati Robbie Ross (Edwin Thomas) e Reggie Turner (Colin Firth) con negligenza ingrata. Everett immagina il grande scrittore nello stringere amicizia con un giovane ragazzo in affitto a Parigi e il suo robusto fratello mentre passa le serate intrattenendoli con le proprie abilità nel raccontare storie. Anni prima, in momenti meno tempestosi, Wilde recitava ai suoi figli ugualmente incantati la storia di una statua che permette a una rondine di denudarlo di tutto il suo oro per nutrire i poveri.

Nelle mani di Everett, il racconto pare una parabola ambigua per dire che le passioni sono l’unica cosa che hanno la possibilità di redimere gli esseri umani. Il regista ci accompagna attraverso l’orrore, momento per momento, dell’umiliazione e della povertà, nelle quali Wilde sfodera il coraggio e l’umorismo come meglio può. Lui infatti vomita in agonia sul letto di morte: “Encore du champagne!” Everett è stato chiaramente influenzato dal dramma teatrale di David Hare del 1998 intitolato The Judas Kiss, in cui Everett interpreta Wilde, e forse anche dal romanzo del 1983 di Peter Ackroyd – L’ultimo testamento di Oscar Wilde.

The Happy Prince dimostra che un film può essere allo stesso tempo cupo e appassionato, così come si addice al suo controverso protagonista.


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