[36TFF] Recensione di Pretenders, il film diretto da James Franco
Una anteprima coi fiocchi all’edizione 36 di questo Torino Film Festival, per un film molto atteso e molto misterioso: Pretenders, diretto da James Franco e interpretato da Jane Levy, Shameik Moore e Jack Kilmer.
Il cinema e i film come educazione sentimentale di due amici di college che s’innamorano della stessa ragazza e per quasi un decennio, dalla fine degli anni Settanta, si trovano, si perdono, si cercano e si ritrovano. Tra New York e l’Europa. Ogni riferimento al cinema del passato è voluto. Tra spezzoni di film e vita quotidiana che imita quello che scorre sullo schermo.
E’ emozionante e singolare, nel giorno della morte del Maestro Bernardo Bertolucci, vedere la protagonista interpretare il ruolo che fu di Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, per una versione femminista.
I rimandi al capolavoro di Bertolucci sono molti e anche affettuosi, come è forte l’affetto per la Nouvelle Vague che Franco regista trasmette a piene mani nel suo ultimo lavoro.
Un film è permeato di cinema, con protagonisti che amano e parlano di cinema. Scandito da diversi passaggi temporali che partono dagli anni ’70, il film racconta una storia d’amore e d’amicizia impossibile ma intensa.
Dopo il grande successo di pubblico e di critica di The disaster artist, che l’altro anno era passato pure dal Festival di Torino, James Franco si misura con i Maestri giocando di sottrazione ma perdendo di divertimento.
Ottima la colonna sonora di Mark Kozelek e strepitosa la fotografia di Peter Zeitlinger, per un film che vede, oltre ai protagonisti, diverse guest-star: si va da James Franco stesso a Juno Temple, da Brian Cox ad un invecchiato Dennis Quaid.
I protagonisti sono ottimi, forse un po’ meno Jack Kilmer che, sebbene sia perfetto nel ruolo da teen-ager al principio, risulta fuori parte col passare degli anni. Jack, purtroppo, ha lo stesso problema di Leonardo Di Caprio: un viso molto bambinesco che mal si addice al ruolo da seduttore che il film richiede.
Pretenders è un buon film, un gradino meno bello di The disaster artist. James Franco sceglie per i protagonisti lo stesso percorso di Jules et Jim, ma lì il ’68 e la Nouvelle Vague davano un senso di liberazione e gioia per il futuro, qui i protagonisti incontrano lo spettro dell’AIDS e un futuro meno luminoso.
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