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[36TFF] Recensione di Sex Story, il documentario di Cristina Comencini e Roberto Moroni

La sezione Festa Mobile di quest’anno è stata particolarmente ricca di film interessanti, e Sex Story è uno di questi, un documentario diretto da Cristina Comencini e Roberto Moroni.

Dal codice Guala degli anni Cinquanta che “proibiva relazioni sessuali troppo veristiche, vesti indumenti e danze immodesti che potevano sollecitare bassi istinti”, alla liberazione sessuale degli anni Settanta e ai suoi eccessi negli anni Ottanta, il film racconta liberamente, attraverso immagini sorprendenti della televisione pubblica, una della più grandi rivoluzioni dei nostri tempi. 

Cristina Comencini è una affermata regista, il cui suo ultimo film risale al 2016, dal titolo Qualcosa di nuovo. Qui si cimenta nel documentario, sebbene non sia una novità, in quanto ha già girato Il nostro Rwanda e L’ultima volta.

Avvalendosi della collaborazione di Roberto Moroni, la Comencini punta la lente d’ingrandimento sul comune senso del pudore dagli anni ’60 agli anni ’80, iniziando il percorso dalla Tv pubblica fino ad arrivare ad una visione più popolare del discorso, intervistando la gente comune.

Il documentario si segue con attenzione ma mette troppa carne al fuoco: l’argomento è vastissimo e meritava molto di più dell’oretta del film. Inoltre la scelta di seguire le variazioni del costume della tv e delle persone comuni, ha annacquato ancora di più il prodotto. Forse, se avesse circoscritto il raggio di azione, il film avrebbe avuto più potenza artistica.



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