Il Primo Re è un film di Matteo Rovere, con un cast formato da Alessandro Borghi e Alessio Lapice. Questa è la recensione.
753 a.C. Romolo e Remo sopravvivono ad un potente tsunami che inonda la foresta da loro abitata, sradicando alberi e travolgendo con una furia assassina tutta la fauna presente. Si salvano entrambi rimanendo schiavi di una tribù dedita al sacrificio umano e ai combattimenti mortali corpo a corpo. Riescono a fuggire, insieme ad un gruppo di altri schiavi in rivolta, durante la prima scena che rivela già il ritmo incalzante e lo stile crudo e cruento che caratterizzeranno il film fino alla fine, facendo abituare lo spettatore alla durezza e alla brutalità dei contenuti presentati sullo schermo.
Inizia così un cammino che si inoltra nella natura paludosa, umida e fangosa che costeggia il corso del fiume: Remo quasi subito alla guida del gruppo, riconosciuto come un capo tribù, Romolo ferito e semi morente, trasportato dal gruppo sopra una ancestrale barella. Romolo, Remo e tutti si addentrano nelle paludi laziali alla ricerca di un territorio atto ad un possibile insediamento, ove stabilirsi e costruire capanne, procacciare cibo e fondare una piccola comunità autosufficiente.
Obiettivo primario: non morire. Non lasciarsi sopraffare da una una natura ostile e poco accogliente, non lasciarsi sconfiggere da avversari più violenti e più selvaggi, nello specifico del film gli indigeni latini di Albalonga.
Recensione
La violenza e la brutalità sono sicuramente delle cifre peculiari del film, le quali hanno in gran parte un valore funzionale alla sopravvivenza dei protagonisti, sebbene nella seconda parte della pellicola si esasperino a vicenda in maniera forse gratuita e non necessaria. La sopravvivenza, tema anch’esso centrale, fulcro della profezia divina che l’oracolo interpreta durante un rito di aruspicina, annunciando che un fratello dovrà uccidere l’altro, ponendo bruscamente fine al loro legame così viscerale, fisico e carnale. La profezia segna già il destino del fondatore di Roma, pur con l’imprevedibilità data dal fatto che Remo si professa più volte re e Romolo giace in fin di vita praticamente dall’inizio del film.
Il Primo Re è forte, selvaggio, efferato e cruento come lo sono i suoi protagonisti, interpretati con il dovuto pathos e con una espressività notevole. Gli uomini sono cavernicoli, simili a scimmie, curvi, goffi, animaleschi nei movimenti; comunicano più a gesti che a parole e la loro fisicità è impressionante: il lavoro sull’uso del corpo come mezzo di comunicazione non verbale è evidente nella presenza di pochi dialoghi a favore di scene in cui domina il contatto fisico, insieme a quel rumore di ossa, muscoli e membra che sa di carne viva e pulsante.
Ambizioso, eroico ed epico, ma non leggendario come l’Impero Romano può vantarsi di essere stato. I due fratelli potrebbero tranquillamente essere Caino e Abele o due uomini qualsiasi immersi nel paesaggio boscoso laziale, impegnati in una battaglia disumana di sopravvivenza e non legati in alcun modo a Roma e alla sua nascita.
Eppure risulta chiaro che, grazie alla ambiziosa fotografia, all’ardita scelta linguistica di girare tutti i (pochi) dialoghi in protolatino – decisione che fa certamente eco all’idioma indigeno eletto da Mel Gibson come scenario di riferimento per Apocalypto – il Primo Re è un film dalla caratura internazionale e dalla realizzazione tecnica davvero considerevole.
Se non fosse per il cast, nel quale spicca senza dubbio un intenso Alessandro Borghi, non vi sono elementi per poter ricondurre l’opera di Matteo Rovere ad una produzione italiana.
Al termine della visione, sorge dunque spontanea una domanda: sarà l’inizio di una fortunata era di kolossal nazionali?
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