Baby, la recensione della serie tv italiana distribuita su Netflix
Baby è una serie italiana, diretta da Anna Negri e Andrea De Sica, composta da sei episodi, distribuiti su Netflix a partire dal 30 Novembre 2018. Questa è la nostra recensione.
Liberamente ispirata ad alcuni fatti di cronaca che hanno riempito le pagine dei giornali nazionali alcuni anni fa, Baby racconta la vita di ragazzi e ragazze di un prestigioso istituto scolastico romano tra amori, incomprensioni generazionali, droga e sesso. Alle spalle del velo delle apparenze si cela un mondo oscuro.
La seconda serie italiana originale di Netflix, la prima è stata “Suburra-La serie”, rappresenta per certi versi una vera e propria scommessa. Raccontare una storia di questo genere, seppur ispirata in realtà solo molto liberamente ai fatti realmente accaduti, non è un’impresa semplice e il collettivo GRAMS* ha scelto di farlo ponendo l’accento non solo sul topos della famiglia disfunzionale e della difficoltà di comunicazione tra genitori e figli, ma anche strizzando l’occhio ai teen drama americani.
I temi affrontati sono, infatti, molteplici: oltre alla già citata incomunicabilità tra genitori e figli ci sono anche l’insicurezza adolescenziale, la droga, l’identità sessuale etc. Per quanto questi elementi non rappresentino una novità nel panorama audiovisivo contemporaneo, il limite principale di “Baby” non sta nell’oggetto del racconto, ma nel modo in cui questo viene messo nero su bianco. Nonostante un buon apparato tecnico, una messa in scena sicura sotto il profilo registico e un cast che, malgrado non ci sia nessuno che si distingua particolarmente, tutto sommato funziona, quello che emerge è una eccessiva semplificazione dei processi sociali e psicologici che affiorano nel corso della narrazione.
Il ruolo prestabilito assunto dai personaggi all’interno della storia, ad esempio il ragazzo di borgata o la ragazza bella e perfida , così come un eccessivo strizzare l’occhio al pubblico teen, senza contare i cliché e le banalizzazioni che pervadono i dialoghi e le situazioni stesse, sono tutti fattori che incidono sulla verosimiglianza della messa in scena, non nella sua visione d’insieme, ma negli aspetti che riguardano i piccoli dettagli e le sfumature.
Gli stereotipi si susseguono uno dopo l’altro, e non basta il livello lievemente in salita della seconda metà della serie ad aggiustare il tiro. Peccato.
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