Il 12 luglio abbiamo avuto modo di vedere l’ultimo Cars 3, il nuovo episodio del franchise d’animazione Disney Pixar.
Durante l’evento abbiamo avuto il piacere di intervistare il regista Brian Fee, il produttore Kevin Reher e di incontrare i voice talents italiani. Tra i presenti Pino Insegno, che era di nuovo nel ruolo di Chick Hicks. Ugo Pagliai in quello Doc Hudson. In sala anche Sabrina Ferilli, Marco della Noce, l’esordiente in quanto a doppiaggio J-Ax e La Pina.
Ecco il resoconto della nostra intervista.
Cars 3 è un film sul cambiamento ed è legato al problema di un campione che sta per essere sorpassato da concorrenti più giovani. Potete parlare di questo aspetto?
Brian Fee. Il film parla proprio di questo. Come regista ho deciso di portare la mia esperienza umana di padre sul set, per raccontare questa storia. Ho due figlie femmine e il mio atteggiamento e la mia personalità si sono trasformate da quando sono diventato papà. Quello che mi oggi preoccupa di più, nel ruolo di padre, è che loro possano avere successo. Ho voluto portare questo grande cambiamento all’interno della pellicola e anche nel nostro cartoon la trama è legata ad periodo della vita di cambiamento.
Kevin Reher. Per ciò che mi riguarda lavoro da 24 anni alla Pixar e sono ormai prossimo alla pensione.
Nel film il tema del fallimento è centrale, è qualcosa che fa parte della Pixar? Vi siete ispirati a quali film sportivi?
Brian Fee. Il fallimento è molto importante nella sceneggiatura di Cars 3 e devo aggiungere che ciò che ci rende davvero felici nella vita sia il successo, a prescindere da qualunque cosa ci accada. Essere felici è il più grande successo che possiamo ottenere. Saetta McQueen diventa felice, perché concede una opportunità importante ad una persona che stima; questo lo rende vincitore dal punto di vista emotivo. Per ciò che riguarda il fallimento, all’interno della Pixar, John Lasseter sostiene che ogni film in realizzazione attraversa varie fasi e c’è sempre una fase in cui è il peggior film che abbiamo mai fatto. Ci prendiamo così tanto tempo prima di iniziare a girare un film, perché cerchiamo di raccontare la storia, nel miglior modo possibile. John Lasseter dice sempre: fallite rapidamente e fatelo il prima possibile.
Kevin Reher. Ci siamo ispirati a film che narravano di storie con le corse Nascar all’interno, abbiamo inoltre visto Rush, i film di Rocky, Karate Kid e Fast & Furious.
Quali sono le sfide maggiori dal punto di vista creativo di un film giunto al terzo episodio? Come lavorate nel processo di casting?
Kevin Reher. La grande sfida è creare sempre nuove storie e non ripetersi per non deludere gli spettatori. Per ciò che riguarda il casting scegliamo dieci attori sempre in base alla descrizione dei personaggi, dopodiché li presentiamo al regista, il quale ne seleziona tre. Di questi tre indica il preferito. Poi senza dire qual è il preferito del regista, andiamo da John Lasseter nella speranza che scelga la stessa persona. Poi una volta scelta la voce, si contatta l’attore scelto, per iniziare a lavorare.
Brian Fee. Durante il casting delle voci cerchiamo una voce che buchi lo schermo. Non guardiamo i volti degli attori; ascoltiamo solo la loro voce. Dobbiamo capire se la voce rende memorabile il personaggio. Per i personaggi secondari, che non hanno tante scene, la voce deve essere perfetta, inoltre deve essere interessante e gradevole perché non c’è tempo di raccontare antefatti antecedenti del personaggio.
In Cars 3 ritorna Doc Hudson, la cui voce originale è quella di Paul Newman. Qual è stato il procedimento per riportare in vita tale leggenda
Kevin Reher. Abbiamo cercato una voce che gli somigliasse, ma nessuna di queste funzionava. John Lasseter fortunatamente, durante la sessione di doppiaggio di Paul Newman in Cars ha lasciato il microfono sempre aperto. Abbiamo ascoltato le ore di registrato con la voce di Newman in cui parla di corse. Abbiamo fatto la trascrizione e poi adattato il dialogo in base a ciò che avevamo.
Brian Fee. Sin dall’inizio volevamo che Doc Hudson fosse presente. Il motivo è anche che la trama del film ha a che fare con il rapporto tra le varie generazioni ed il concetto di essere mentore di qualcuno più giovane, in questo caso era importante. Volevamo mostrare il rapporto tra Doc e McQueen e come questo rapporto si sia evoluto in qualcosa di nuovo, diventando così mentore di qualcuno di più giovane quasi come se fosse una tappa obbligatoria di un personaggio che invecchia nel corso dei capitoli.
Come vi aspettate che possa essere accolta questo tipo di storia dai più piccoli?
Brian Fee. Ho due figlie, una di 8 e l’altra di 11 anni. Inizialmente i bambini hanno paura di provare a fare cose, temono di fallire e se pensano che una attività appartenga al sesso opposto non la vogliono fare. Le mie figlie, per esempio, sono convinte che la chitarra sia uno strumento da maschio e quindi non provano nemmeno a suonarla, quindi noi vogliamo che i bambini si rendano conto, che tutto è possibile e che non ci si deve fermare alle difficoltà iniziali. Quello che pensiamo è che un film come questo possa fare reagire positivamente molti bambini e fare capire loro, che quello che succede a McQueen è una situazione molto comune, che va superata.
Con l’introduzione di un nuovo personaggio la serie si conclude o lascia aperte anche altre possibilità di continuare il franchise? I riferimenti alla Ferrari sono voluti?
Kevin Reher. Per ciò che riguarda il sequel se ci saranno nuove idee ci si può pensare, anche se al momento non c’è nulla in cantiere, ma nulla esclude, che ci potrebbe essere anche un Cars 4.
Brian Fee. Per ciò che riguarda invece i riferimenti alla Ferrari, ovviamente a noi le macchine da gara piacciono molto, quindi questo film è una lettera d’amore alle automobili da corsa e a coloro che amano questo mondo e le gare. Ci auguriamo comunque, che questa storia, susciti interesse anche per coloro che non hanno interessi per le macchine e per le gare.
Come mai nella versione originale non avete usato Vettel ma avete usato Hamilton?
Kevin Reher. Lewis Hamilton si è divertito a lavorare nel capitolo precedente e quando ha saputo che stavamo preparando il nuovo capitolo della serie ci ha chiamati, dicendo che avrebbe voluto essere anche in Cars 3. Gli abbiamo detto che non c’erano gare di F1 nel film, gli ho ho proposto di interpretare il computer e lui ha risposto «Va bene, farò il computer». Vettel invece non ci ha telefonato!
Brian Fee. È venuto alla Pixar per registrare ed è stato molto cordiale. Mi ricordo che a pranzo mentre lui mangiava un’insalata, io stavo mangiando una pizza. Mi ha chiesto com’era la pizza e gli ho chiesto se la voleva assaggiare. Mi ha detto di no perché doveva perdere 5kg. È così magro che non ha 5kg da perdere! Sosteneva la teoria secondo la quale più lui è magro più può essere aggiunta tecnologia alla sua macchina da corsa oppure benzina per andare più forte!
Al temine del nostro incontro con i creatori del cartoon ci siamo rivolti ai doppiatori italiani, presenti in sala, che ci hanno parlato del loro lavoro in studio e di ciò che li accomuna ai personaggi interpretati.
Ivan Capelli.
Io vedendo Cars 3 ho rivissuto, quello che ho provato, quando ho abbandonato la Formula 1. Nel mio caso mi sono dovuto reinventare in qualità di commentatore sportivo e tecnico nel mondo delle corse e come spalla della prima voce nei commenti delle gare. In questo film viene confermata quanto sia vicina e realistica l’ interpretazione della Disney Pixar del mondo automobilistico, perché se il primo episodio era entusiasmante e il secondo un po’ sfumato, in questo terzo episodio, viene rappresentato bene il momento critico del ritiro dalle gare, attraverso il personaggio di McQueen, tanto quanto ovviamente, viene rappresentata bene la tecnologia.
Pino Insegno.
Io sostengo che essere parte integrante di un film come doppiatore, soprattutto in un film come quello della Disney, significa essere lui e la sua voce per sempre, ma anche il suo corpo e la sua anima. I cartoons appartengono ad un mondo dell’immaginario che ci coinvolge tutti, infatti ho dei ricordi quando vedevo i film Disney con la mia famiglia da piccolo. Era l’occasione per stare tutti insieme. Per me essere stato ingaggiato per doppiare un altro film della Disney è un altro grande orgoglio sia come professionista, che come uomo.
Sabrina Ferilli.
Apprezzo molto i passi in avanti fatti dalla Walt Disney nel raccontare le figure femminili in chiave moderna. Ero poco innamorata di personaggi alla Biancaneve o di Cenerentola, con poca personalità, amo invece i personaggi femminili emancipati. Il cartone animato si è adeguato alla realtà e al mondo degli adulti e finalmente si è smesso di raccontare favole che provengono dal mondo dell’immaginazione astratto e questa è una cosa molto positiva per me.
J-Ax.
Il personaggio che interpreto è l’annunciatore della gara e quindi è la parte più estrema perché urla molto e che mi assomiglia moltissimo. Il mio ruolo è di essere speaker di una gara formata da stunt car che si distruggono tra loro, alla quale McQueen partecipa quasi per sbaglio, che però gli è servita molto per allenarsi per l’ultima gara. La trama del film per una persona della mia età è molto importante perché McQueen ha che fare con personaggi molto più giovani di lui e in questo mi sono rivisto molto nella fase attuale della mia carriera. Era la mia prima volta in una sala di doppiaggio e il direttore mi ha mostrato i movimenti del personaggio sullo schermo perché trattandosi di un film di animazione, il movimento dei personaggi è importante per l’emissione della voce e devo dire che mi sono trovato molto a mio agio, in questo nuovo ruolo.
La Pina.
Io come il personaggio che interpreto, se c’è da fare la gara, la faccio fino in fondo mettendoci tutta me stessa. Nella vita capita sempre il momento in cui dobbiamo mettere una marcia in più, come accade nella trama nel film; e sempre come il mio personaggio ho sempre fatto cose da maschi e in questo mi sono sempre trovata benissimo. Voglio ringraziare il direttore di doppiaggio Manfredi, che è stato pure il doppiatore di McQueen, il quale è stato molto paziente con noi esordienti e soprattutto con me che leggo male, a causa della mia dislessia. Posso dire a nome del gruppo che è stata davvero un’esperienza straordinaria.
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