Dal 24 gennaio è disponibile nelle sale il film Creed II, sequel di Creed – Nato per Combattere distribuito nel 2015. Questa è la recensione.
La carriera di Adonis Creed, figlio del più famoso Apollo, è ormai all’apice della sua fortuna: grazie agli allenamenti di Rocky Balboa e dopo tante vittorie ottiene finalmente il titolo di campione dei pesi massimi. Ma il destino ha in serbo per lui un altro combattimento, forse il più importante e faticoso della sua vita: la sfida contro Viktor Drago, figlio di Ivan “ti spezzo in due” Drago, l’assassino di suo padre.
RECENSIONE
Il primo film di Steven Caple Jr. si basa su una sceneggiatura scritta e diretta da Sylvester Stallone e Juel Taylor. Nonostante il film sia il prodotto di una nuova mente riesce a rimanere in linea con i suoi predecessori presentando il medesimo schema: quello in cui il protagonista è chiamato ad affrontare una nuova e (im)possibile sfida. Tuttavia, ciò che contraddistingue Creed II dai precedenti è l’aspetto psicologico e sentimentale che qui emerge come motore di tutta l’azione.
Buon sangue non mente e Adonis Credd, come il padre Apollo, è un combattente nato. Forte e potente sul ring, impacciato e maldestro nell’affrontare le piccole sfide della vita, il nostro protagonista ora è messo alla prova e deve gareggiare contro due importanti sfide. L’interpretazione di Michael B. Jordan convince anche i più appassionati della saga, perché in lui rivediamo il padre Apollo e la voglia di combattere per onorare la sua memoria.
L’antagonista del film è Viktor Drago, messo in scena da Florian Munteanu attore tedesco classe 1990 che interpreta il figlio che Ivan Drago ha allenato per tutta la vita fino a trasformarlo in una macchina da combattimento, enorme e potente, che nella vita non sa fare altro se non combattere. A differenza di Adonis, il ruolo di Viktor sembra quello della semplice controparte, ma a metà della pellicola lo spettatore capirà che anche lui, nonostante tutto, combatte per una giusta causa.
Infine, sullo sfondo della vicenda aleggia, come una presenza onnisciente, l’immagine di Rocky Balboa, interpretato da un Sylvester Stallone che, nonostante i suoi 72 anni ha una presenza scenica di forte impatto (fisico ed emotivo). Nonostante il suo ruolo “secondario”, Rocky rappresenta l’anima e il senso del film: non è solo l’allenatore di Adonis ma anche e sopratutto il suo mentore, pronto a sostenerlo in ogni circostanza e in qualsiasi scelta.
L’ottavo film della serie di Rocky Balboa può essere definito come il collante di tutta la saga, perché qui non si combatte solo per essere il migliore, ma per qualcosa che va oltre il semplice titolo di campione del mondo: questa è la grande sfida di Adonis Creed.
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