Com’era prevedibile, il Leone d’oro che la giuria presieduta da Guillermo Del Toro ha assegnato a Roma di Alfonso Cuarón – prodotto e distribuito da Netflix – ha scatenato prontamente la dura reazione degli esercenti.
ANAC, FICE e ACEC hanno infatti rilasciato un comunicato stampa dal titolo “Cinema: Venezia, il Leone domato da Netflix” pubblicato anche su Twitter (in fondo all’articolo).
Sul tema è intervenuto anche il direttore della Mostra Alberto Barbera:
“Bisogna guardare avanti. Siamo in un periodo di transizione. […]Bisogna prendere atto delle nuove realtà come Netflix, Amazon e altri operatori analoghi che verranno. […]Il processo non è compiuto, è in divenire. E bisognerà confrontarsi nei prossimi anni con tutti i soggetti coinvolti. Ma negare questa realtà è perdente.”
In concorso alla Mostra, oltre al vincitore Roma, c’era anche il nuovo film dei Coen (La ballata di Buster Scruggs, premio per la miglior sceneggiatura) di proprietà Netflix.
Ma la questione Netflix, che Cannes ha risolto semplicemente bandendo qualsiasi prodotto della piattaforma, è più complessa e sfaccettata.
Davvero si può definire “iniquo” il fatto che a un festival possano partecipare film non destinati alla sala? E non è forse iniquo pure il sistema distributivo italiano, fissato coi blockbuster e con titoli dal successo sicuro mentre proprio i film che hanno partecipato a festival e rassegne faticano a essere visti da tutti?
Prima di criticare Netflix, gli esercenti farebbero bene a ripensare a tutto il sistema distributivo italiano (in quante sale venne distribuito il Leone d’oro 2016 The Woman who Left di Lav Diaz?), e solo in seguito pensare a delle crociate (comunque inutili) contro i servizi streaming che, almeno, forniscono un sistema più democratico consentendo piena libertà allo spettatore.
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