Chi pensava che il film Ghost in the Shell interpretato da Scarlett Johansson potesse essere un blockbuster in grado di racimolare facilmente fior di quattrini al box office dovrà ricredersi. La Paramount, infatti, ha motivato l’insuccesso del film tirando in ballo le recensioni influenzate dalla polemica sul whitewashing di cui si è tanto parlato tempo addietro.
La produzione del film era stata accusata di whitewashing per aver scelto come protagonista un’attrice americana per interpretare il personaggio principale, ovvero Mira Killian – ma nel manga originale si chiama Motoko Kusanagi, ed è nativa giapponese.
Così, dopo “soli” 21 milioni di dollari racimolati al botteghino americano, una cifra ben al di sotto delle aspettative, il responsabile della distribuzione USA della Paramount Kyle Davies è intervenuto sull’argomento:
“Speravamo in migliori risultati negli Stati Uniti. Crediamo che le varie discussioni sul casting abbiano influenzato le recensioni. Questo film doveva essere importantissimo per i fanboy visto che è basato su un anime giapponese. E ci siamo trovati, come sempre, a dover mediare fra la creazione di un film che rispetti il materiale originale e sia interessante per tutto il pubblico cinematografico. È una sfida e, chiaramente, le recensioni non ci hanno aiutato in tal senso.”
Ma davvero il motivo del flop va riscontrato nelle recensioni influenzate dal whitewashing? Per cominciare, chi s’intende e scrive di cinema, soprattutto recensendo film, sa che non si può giudicare negativamente un’opera solo perché la protagonista ha un aspetto diverso da quella originale. Poi, in secondo luogo, il motivo (o uno dei tanti) per cui il film non sta avendo un buon riscontro presso il pubblico andrebbe cercato nella regia di Rupert Sanders, troppo impersonale e priva di quel nerbo che un film del genere richiedeva, oltre che a una sceneggiatura non particolarmente esaltante e innovativa.
Qui la nostra recensione.
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