Per la rubrica Il Cinema Invisibile, oggi ci occupiamo di Black Snake Moan, diretto nel 2007 da Craig Brewer e interpretato da Samuel L. Jackson, Christina Ricci, Justin Timberlake, David Banner e John Cothran Jr. Da noi, il film è uscito direttamente in home video. Il titolo è quello di una canzone blues suonata da Jackson nel film.
Nel piccolo borgo agrario di Memphis (Tennessee) vive Rae, una ragazza che soffre di un disturbo nel comportamento sessuale che le provoca impulsi che deve soddisfare con chiunque le capiti a tiro, anche col fidanzato fuori città. Lazarus è un anziano contadino con la passione per il blues appena lasciato dalla moglie insoddisfatta della vita coniugale. Un giorno, Lazarus trova Rae malridotta sulla strada vicino a casa sua: la cura sia nel corpo che nell’anima, legandola a un termosifone con una catena per impedirle di farsi usare dagli uomini. Le loro vite, una volta incrociatisi, non saranno più come prima.
Al suo secondo film, Brewer sceglie un soggetto pruriginoso che sembra promettere scene ad alto tasso erotico. Invece, punta sulla desolazione dell’anima, scegliendo due personaggi speculari e opposti ma tragicamente simili. Se Lazarus incarna gli aspetti religiosi e vitali, Rae incarna gli impulsi umani da soddisfare. Sacro e profano, anima e corpo. Anche se diametralmente opposti, Lazarus e Rae sono simili nelle loro esistenze: entrambi sono soli, entrambi lottano con le proprie passioni (il blues per Lazarus, il sesso per Rae). Ma se il blues rappresenta per l’uomo un valore e un mezzo per esprimersi, il sesso risulta essere una condanna per la giovane, e il piacere viene relegato a sintomo da curare.
Per questo motivo, il metodo di “cura dello spirito” attuato da Lazarus, ovvero incatenare Rae, sembra essere il solo efficace per garantire alla ragazza la possibilità di manifestare liberamente il suo essere donna e non essere esclusivamente oggetto sessuale ad appannaggio degli uomini. Così come i due personaggi sono complementari, anche in questo “metodo” vediamo un aspetto ossimorico: dare la libertà mediante la carcerazione, perché solo privando della libertà si può capire quanto quella libertà sia necessaria.
Ma Lazarus e Rae non sono i soli protagonisti; il blues è un comprimario d’eccellenza, tant’è che il film si apre con una dichiarazione del bluesman Son House che spiega la sua visione del mondo, dell’amore e del blues stesso. E il blues diventa anche, almeno per Rae, qualcosa con cui sfogarsi e liberarsi del male che l’affligge: a dimostrazione di ciò si prenda la scena in cui la ragazza balla sulle note di “Stack-O-Lee” suonata e cantata nel locale dallo stesso Jackson, quasi a ricordare il ballo della pizzica praticato nel sud Italia con cui le donne si liberavano del veleno della tarantola.
Certo, il film forse non brilla per una regia memorabile e certi passaggi sono un po’ tirati via, ma l’insieme possiede un fascino inusuale e sicuramente atipico che da noi non poteva che essere inedito nelle sale e arrivare direttamente in home video. Un film non perfetto, ma che fa proprio di questa imperfezione la sua cifra stilistica: come imperfetti sono Lazarus e Rae, vittime delle vicende che la vita gli ha messo davanti ma alla ricerca di qualcosa che possa permettergli di (ri)cominciare a vivere.
Di seguito potete vedere la scena in cui Samuel L. Jackson esegue la canzone che dà il titolo al film.
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