Per la rubrica Il Cinema Invisibile oggi ci occupiamo di E Johnny prese il fucile (Johnny got his gun) datato 1971, diretto da Dalton Trumbo e interpretato da Timothy Bottoms, Kathy Fields, Jason Robards e Donald Sutherland. Il film segnò l’esordio alla regia dello sceneggiatore Trumbo (vincitore di due premi Oscar nel 1953 e nel 1956) che adattò per il grande schermo il suo omonimo romanzo del 1938.
Il giovane Joe Bonham viene chiamato alle armi durante la Prima Guerra Mondiale. A causa di un’esplosione, Joe perde la vista, l’udito, le braccia e le gambe. Ridotto a un tronco umano, viene portato in un ospedale ma i medici ritengono che nulla si possa fare e che ormai sia ridotto allo stato vegetativo. Joe, però, riesce ancora a pensare e, dopo che i movimenti della testa sono stati presi per semplici spasmi, un’infermiera intuisce che in realtà Joe comunica seguendo il ritmo dell’alfabeto Morse. Nonostante lo spiraglio di speranza che la comunicazione col mondo esterno, seppur flebile, riesce a dargli, per Joe si prospetta un futuro terribile.
Un esordio all’età di 65 anni è quanto di più disperato e folle si possa pensare. Trumbo adotta uno stile scarno e realistico, con un appiglio più da documentarista che da narratore, sebbene la storia sia inventata. Emerge in questo spaccato di tragedia umana un atto d’accusa (neanche troppo velato) contro qualsiasi guerra e contro gli alti comandi che decidono le sorti dei soldati come in un gioco di strategie e senza un briciolo di umanità; per questo motivo, il film può essere visto in parallelo a Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick.
Trumbo, però, non sbatte in faccia allo spettatore la questione antimilitarista, ma la propone per mezzo di metafore e simbolismi accattivanti e anche azzardati, come la scena onirica in cui Joe sogna di incontrare Gesù (intepretato da Donald Sutherland) mentre quest’ultimo fabbrica croci di legno. Le scene oniriche e i ricordi di Joe, che quindi materializzano la mente del protagonista, sono realizzate a colori mentre le scene ambientate in ospedale in cui Joe è ridotto a un tronco umano e col volto nascosto, sono realizzate in un graffiante bianco e nero: ciò a sottolineare come i ricordi e i sogni siano più vivi e solari, a identificare una realtà mentale più vivida e solare della realtà materica, quella in cui Joe è immobile e passivo, almeno fino a quando non riesce a instaurare un rapporto comunicativo col mondo.
Risulta evidente, inoltre, come il film risenta anche del periodo in cui Trumbo fu incarcerato durante il maccartismo nell’America anticomunista degli anni ’50: E Johnny prese il fucile diventa così anche un grido disperato contro ogni sopruso e a favore della manifestazione della propria volontà e delle proprie idee; in questo senso il finale, soprattutto l’ultima inquadratura, lascia un segno indelebile nella coscienza dello spettatore e lo costringe a fare i conti con il proprio credo, le proprie paure e i propri ideali. E il titolo acquista un significato intrinseco che corrisponde a ciò che Joe è impossibilitato a fare ma che la sua volontà lo spinge a desiderare: il titolo realizza ciò che Joe (e il film) non possono fare.
Un atto d’accusa tra i più sinceri e sconvolgenti della storia del cinema, figlio di un periodo nero della Storia e che segnò un passo in avanti piuttosto coraggioso nella New Hollywood degli anni ’70; ancor’oggi possiede una forza inusitata e shockante che molto cinema di guerra al giorno d’oggi sembra aver perso.
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