regole dell'attrazione recensione

Il Cinema Invisibile – Le regole dell’attrazione di Roger Avary

Per la rubrica Il Cinema Invisibile, oggi ci occupiamo di Le regole dell’attrazione, datato 2002, scritto e diretto da Roger Avary (co-sceneggiatore del primo Quentin Tarantino), al suo secondo film dopo Killing Zoe, e interpretato da James Van Der Beek, Shannyn Sossamon, Kip Pardue, Jessica Biel, Ian SomerhalderThomas Ian NicholasEric Stoltz Faye Dunaway. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis, pubblicato nel 1987.

In un college del New England s’intrecciano le vicende di alcuni studenti: lo studente spacciatore Sean ritiene che la vergine Lauren sia la mandante di alcune lettere d’amore e se ne innamora. Lauren, d’altro canto, è innamorata di Victor, studente che sta compiendo un viaggio in lungo e in largo per l’Europa. Paul, gay, è innamorato di Sean ma non trova il coraggio di dichiararsi. Durante la “Festa della fine del mondo” tutte le loro storie (e anche altre) troveranno il loro finale, ma non tutti saranno felici e soddisfatti.

Tra gli autori contemporanei più emblematici della crisi morale, Easton Ellis occupa un ruolo di primo piano, e il regista Avary utilizza il repertorio di sesso, droga e vite vuote per descrivere la perdizione e lo sbandamento degli adolescenti non solo degli anni Novanta, ma anche di quelli di oggi. Per farlo, si stacca completamente dallo stile dell’ex collega Tarantino (col quale ha condiviso l’Oscar per la sceneggiatura di Pulp Fiction) adottandone uno più sovversivo ed esteticamente inusuale.

Il regista, dunque, adopera le riprese all’indietro per riportare la sincronizzazione degli eventi: partendo, cioè, da un nucleo narrativo, ne sviluppa poi altri e li dirama in altre direzioni non procedendo in avanti ma all’indietro per poi proseguire altrove. Una tecnica non nuova, ma messa in atto con coscienza e lucidità, atta a esternare l’impossibilità dei personaggi di proseguire verso il futuro ma costretti sempre a tornare al punto di partenza. Insieme alla tecnica della ripresa all’indietro, Avary utilizza in modo innovativo anche lo split screen: la scena in cui le due parti dello schermo seguono contemporaneamente i personaggi di Sean e Lauren fino a incontrarsi nel corridoio è un perfetto esempio di come il cinema contemporaneo sia capace di impadronirsi di mezzi e tecniche antiche per applicarle al cinema postmoderno, come nel postmoderno possiamo far rientrare la scelta di alcuni attori fino ad allora idoli dei ragazzi (Van Der Beek, Biel, Nicholas, tutti credibili) per smontarli e immergerli in un contesto adulto.

Alla crisi della messa in scena si aggiunge, dunque, quella dei valori e degli ideali: i giovani studenti conoscono l’alcol, la droga e il sesso esclusivamente come mezzi per fuggire alla mediocrità a cui sono inevitabilmente legati, come dimostra la scena in cui Paul è obbligato a pranzare con la madre mentre il suo amico (o amante) si comporta in modo bizzarro, oppure il lungo “trip” in cui Victor ripercorre le sue scorribande in Europa. Tutti i personaggi sono in cerca d’amore, ma questa ricerca si riduce sempre a un rapporto sessuale consumato senza pathos oppure è destinato a morire in un nulla di fatto o tragicamente e in questo senso, la scena in cui una ragazza (non specifichiamo quale) si suicida nella vasca da bagno, è una delle più intense ed emozionali.

Non solo la crisi dei valori nei giovani. Avary mette alla berlina anche l’istituzione, sia essa quella educativa della scuola o quella della famiglia. Il professore interpretato da Stoltz è emblema di questa derisione: nella scena che lo vede protagonista insieme a Lauren, quest’ultima è convinta che l’uomo abbia voluto stare da solo con lei per aver un rapporto sessuale mentre lui richiede una fellatio, motivando la cosa con “sono un uomo sposato”. Se il sistema scolastico è trattato in modo ironico e beffardo, la famiglia non ne esce migliore: i genitori non esistono, e le uniche figure materne che vengono mostrate (tra cui una superlativa Faye Dunaway) sono tratteggiate con sarcasmo e uno humour trattenuto eppure emergente.

Un film unico nel suo genere che non assomiglia a poco altro che ironizza inoltre sul filone dei teenage movie tipo American Pie; peccato che la distribuzione italiana lo abbia trattato come tale e lo abbia fatto passare per una volgare commediola adolescenziale. Vedere il trailer per credere.

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