Sacrificio Fatale

Il Cinema Invisibile – Sacrificio fatale di Michael Tolkin

Diamo il via a una nuova rubrica intitolata Il Cinema Invisibile dedicata a quei film cosiddetti “invisibili”, del passato più remoto o più recenti che, per un motivo o per un altro, hanno avuto una distribuzione limitata da noi o semplicemente non sono stati visti come invece avrebbero meritato.

Non si faranno delle recensioni, ma solo delle analisi per dare una seconda vita a film di difficile reperibilità e aiutarli, nel nostro piccolo, a uscire dal limbo in cui sono segregati da troppo tempo.

Il primo film che prendiamo in considerazione è Sacrificio fatale (titolo originale: The Rapture), datato 1991 e diretto da Michael Tolkin. Interpreti principali: Mimi Rogers, David Duchovny, Patrick Bauchau e Will Patton.

La trama:

Sharon (Mimi Rogers) è una telefonista che conduce una doppia vita; di giorno è dedita al suo monotono e alienante lavoro, mentre di notte si da alla pazza gioia insieme all’amico Vic (Patrick Bauchau), tra scambi di coppie e sesso occasionale. Durante uno di questi incontri conosce Randy (David Duchovny) con cui intreccia una relazione. Un giorno alla sua porta bussano due uomini che affermano di essere membri di una setta che fa capo a un ragazzo di colore che annuncia l’arrivo dell’Apocalisse. Questo incontro, unito alla voglia di porre fine a quella vita inconcludente, mette Sharon nella condizione di abbracciare questa religione. Dopo qualche tempo, Sharon si sposa con Randy e insieme hanno una figlia, ma il destino (o Dio?) non le spiana la strada: Randy muore violentemente ucciso da un uomo, mentre Sharon si propone di uccidersi insieme alla figlia per accedere prima del tempo al Paradiso.

Un film di non facile definizione e classificazione. Questo è l’esordio alla regia dello sceneggiatore de I protagonisti di Robert Altman e che sembra vivere una doppia vita, proprio come la protagonista: all’inizio il film sembra essere uno spaccato realista sulla condizione di una donna dedita all’edonismo (di notte) e al lavoro (di giorno). Un dramma sociale, dunque, né più né meno.

Poi, quando entra in scena l’aspetto religioso, il film cambia veste e si trasforma in un thriller metafisico, e al contempo un affresco sulla capacità della religione di avviluppare le menti che necessitano di aiuto, ma anche sulla debolezza delle persone incapaci di risollevarsi da sole. Quello che emerge sullo sfondo è dunque il ritratto di un’America che non crede più, non solo in una figura più alta, ma soprattutto in se stessa, e questa crisi è all’origine del male del mondo; ci vuole una mente fredda (e Tolkin dimostra di averla) per raffigurare una storia e un mondo del genere senza farsi prendere dal fanatismo o dalla paura di affrontare certi temi.

Tra i film che mettono in scena Dio o profeti di vario genere, questo è sicuramente uno dei più radicali, senza remore e col coraggio di arrivare fino in fondo; l’Apocalisse arriva (dopo una scena di straziante intensità) ed è risolta visivamente in un modo che non ci aspetteremmo, come se Tolkin avesse voluto affidarsi a uno stile iconografico vicino a quello dei Testimoni di Geova (o di certe sette religiose), senza esplosioni o distruzioni (come invece accade in Segnali dal futuro, anch’esso comunque meritevole di una riscoperta e rivalutazione). In questo modo, il finale gela il sangue dello spettatore per la freddezza con cui viene mostrato (e la fotografia di Bojan Bazelli aiuta in questo senso), lasciando innumerevoli domande apparentemente senza risposta.

Impossibile che un film così riscontrasse il favore del pubblico, sia in America che da noi; ma merita di essere rivisto, contemplato e anche discusso perché sono film come questo che rendono il cinema un mezzo per affrontare argomenti altrove difficilmente esprimibili.

Ecco il trailer originale del film.

[youtube]https://youtu.be/_Rk5ZBhnCA8[/youtube]

Quella di oggi è un’anteprima, la rubrica sarà sempre di lunedì.


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