Il cinema politico e umano di Bernardo Bertolucci
La morte di Bernardo Bertolucci, sebbene fosse malato da tempo, ha sconquassato il mondo del cinema.
Nato a Parma nel 1941, il giovane Bertolucci – figlio del poeta Attilio – sembra seguire le orme del padre iscrivendosi alla facoltà di lettere a La Sapienza di Roma, salvo poi abbandonare gli studi.
L’abbandono dell’università è dovuto alla sua vicinanza con Pier Paolo Pasolini di cui diventa assistente per il film Accattone.
L’esordio dietro la macchina da presa non tarda ad arrivare e nel 1962, su sceneggiatura di Pasolini, dirige La commare secca che risente fortemente della poetica e dello stile dell’intellettuale bolognese.
Ma il cinema di Bertolucci si discosta molto presto da quello di Pasolini per perseguire una filosofia personale connessa all’individualità dell’essere umano e il mondo politico circostante.
Film come Prima della rivoluzione (1964), Partner (1968), Strategia del ragno e Il conformista (1970) sono perfetti esempi del cinema di quegli anni, fortemente politicizzato ma specchio di un’ambiguità di cui la classe politica si fa inevitabilmente portatrice.
Questi film, però, non riscuotono il successo di pubblico nonostante vengano presentati a vari festival. Il 1972 sarà un anno cardine per Bertolucci in quanto esce Ultimo tango a Parigi, film destinato a far discutere e per il quale il regista perde i diritti civile per 5 anni.
Interpretato da un memorabile Marlon Brando e da una giovane Maria Schneider (che resterà legata a questo ruolo per tutta la vita), il film racconta di due solitudini destinate a incontrarsi legate da un’esperienza sessuale dai connotati tragici.
Nel 1976, Bertolucci dirige il dittico Novecento che racconta le lotte contadine dell’Emilia dagli inizi del secolo fino alla Seconda Guerra Mondiale. Per questo film, il regista si avvale di due attori di grosso calibro: Robert De Niro e Gerard Depardieu.
Dopo due film di scarso successo (La Luna e La tragedia di un uomo ridicolo), per Bertolucci arriva la consacrazione mondiale con L’ultimo imperatore che si aggiudica 9 Oscar, tra cui quello per la regia; Bertolucci diventa così il primo regista italiano a vincere questo premio.
Dopo una pausa di tre anni, Bertolucci torna al cinema con Il tè nel deserto che però divide la critica. Con Piccolo Buddha (1993), Bertolucci affronta il tema della religione con tocco personale che si discosta dalla sontuosità hollywoodiana.
Col l successivo Io ballo da sola (1996) il regista torna in Italia (anche se con cast internazionale) come anche L’assedio (1998) ambientato a Roma.
Trent’anni dopo Ultimo tango a Parigi, Bertolucci torna a indagare il tema del sesso e della rivoluzione con The Dreamers – I sognatori (2003) dove l’intimità all’interno delle mura di casa si mescola al turbinio dei moti del Maggio francese.
Il suo ultimo film, Io e te (2012), ripropone ancora una volta due personalità giovani chiuse in un ambiente che riflette il mondo esterno.
La politica e la sua ambiguità, il sesso e l’uomo colto nella sua intimità: questi i cardini del cinema di Bernardo Bertolucci che molto ha insegnato ai giovani registi. Un cinema impegnato che non è mai sceso a compromessi e che ha portato in superficie gli aspetti più reconditi dell’animo umano. Bertolucci è stato per noi quello che Jean-Luc Godard è stato per il cinema in Francia.
Tutto questo è stato possibile a Bertolucci anche perché forte del suo ateismo che non lo ha mai vincolato da una religiosità che, probabilmente gli andava stretta, pur avendola affrontata lungo tutta la sua filmografia. Alla domanda se fosse credente, Bertolucci rispose così:
No, sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Buñuel.
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