Il Divin Codino, la recensione del film Netflix su Roberto Baggio
Dal 26 maggio è disponibile su Netflix “Il Divin Codino“, film che racconta la vita di Roberto Baggio, uno dei più forti calciatori di tutti i tempi e idolo di due generazioni di italiani. Ecco la recensione di un vecchio nostalgico del grande calcio italiano.
Ad interpretare il fuoriclasse di Caldogno, c’è Andrea Arcangeli, noto al grande pubblico per il suo ruolo di protagonista nell’acclamata serie tv storica Romulus, mentre in cabina di regia spazio per Letizia Lamartire.
Subito dopo il notevole successo di pubblico e critica ottenuto dalla serie Sky su Francesco Totti, “Speravo de Morì prima“, gli italiani hanno a disposizione un altro prodotto che racconta la vita di un grandissimo del pallone, il Divin Codino di Caldogno, Roberto Baggio. Stavolta però non si tratta di una serie tv, ma di un film che, peraltro, dura 90 minuti scarsi. Assolutamente impossibile condensare la vita di Roby in così poco tempo, ma non è detto che sia necessario inserire tutto.
Il Divin Codino è un film, non una cronaca dettagliata degli eventi anno per anno, quindi ci sta che gli sceneggiatori cerchino di concentrarsi su un aspetto o un momento specifico. Il focus, in questo caso, è quello interiore, personale, che cerca di far uscire fuori il carattere assolutamente particolare di Baggio, uomo schivo, riservato, devoto alla famiglia e poi a Buddha, scoperto durante la primissima parte della sua carriera. Per questo moltissime scene sono dedicate al rapporto con il padre, scomparso lo scorso anno e interpretato in maniera eccellente dal padovano Andrea Pennacchi.
Tutto ruota intorno alla famigerata promessa che Roberto Baggio, a soli 3 anni, avrebbe fatto al padre dopo la sconfitta dell’Italia contro il Brasile nella Coppa del Mondo del 1970: da grande vincerà il Mondiale contro il Brasile. E infatti la trama si concentra principalmente sul Mondiale americano e sul maledetto rigore sbagliato nella finale di Pasadena del 17 luglio 1994. Molto bello, in questo senso il retroscena del rapporto assai conflittuale con un Arrigo Sacchi che, purtroppo, non viene ritratto nel modo giusto da Antonio Zavatteri.
Finiti i Mondiali del 1994, una spruzzata di Brescia con Martufello nei panni di Carletto Mazzone e poi, il buio. Il risultato è un film eccessivamente compresso, che elimina completamente parti fondamentali della carriera di Baggio: Juve, Milan, Bologna, Inter, gli altri due mondiali disputati da protagonista con la la Nazionale in Italia nel ’90 e il Francia nel ’98….niente…nisba. Omissioni francamente inaccettabili che rendono molto difficoltoso, per uno spettatore che non conosca abbastanza bene la carriera del campione, capire quanto grande è stato Roberto Baggio nella storia del calcio italiano.
Ne esce fuori un quadro che da un lato fa emergere abbastanza bene l’uomo Baggio, con la sua grandezza e i suoi limiti caratteriali che lo hanno fatto litigare praticamente con tutti gli allenatori che ha avuto, ma che dall’altro fallisce miseramente nel mescolare l’uomo al calciatore e nel mostrare gli immensi lampi di una carriera leggendaria. Vale la pena ripetere ancora una volta che uno spettatore ventenne o un non appassionato di calcio non avrà l’impressione di avere di fronte una leggenda dello sport, ma più che altro un uomo tormentato che ha sbagliato un rigore decisivo in finale dei Mondiali.
La colpa di queste mancanze non ricade assolutamente sull’attore protagonista Andrea Arcangeli, che anzi è quasi maniacale nelle somiglianze fisiche e nella mimica, ma purtroppo questo Il Divin Codino ha dei limiti ben chiari nella scrittura e nella eccessiva compressione e confusione degli eventi. Un peccato, perché Roberto Baggio è stato molto, molto più di questo.
Il Divin Codino è attualmente disponibile nel catalogo Netflix.
Il Divin Codino
Regista: Letizia Lamartire
Data di creazione: 2021-05-27 12:26
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2 thoughts on “Il Divin Codino, la recensione del film Netflix su Roberto Baggio”
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forse proprio perchè da un pezzo non ho più vent’anni e non ho bisogno di farmi spiegare chi fosse stato Baggio, sono rimasto piacevolmente sorpreso dal taglio psicologico che gli autori hanno voluto dare al film, che mi sono goduto, lasciandomi coinvolgere, senza mai annoiarmi.
Purtroppo è vero che la figura di Sacchi non mi pare particolarmente ben centrata, tant’è che ci ho impiegsato un po’ prima di capire che fosse lui.
Alla fine credo che la storia di Baggio fosse un pretesto per raccontare quanto può essere complesso il rapporto tra padre e figlio; anche e forse soprattutto quando il padre viene da umili e oneste origini e il figlio è dotato di un talento immenso.
Quindi, pur comprendendo le ragioni sportive deluse della critica, non condivido il rating che avetre attirbuito all’opera. Per me é un ottimo film.
Ci aggiungo anche il fatto, purtroppo, che il film e` una grande e continua pubblicita` alla Diadora, sponsor tecnico di USA 94 e non degli altru due mondiali a cui Roberto Baggio partecipo` . Il film e` triste per quasi tutti i 92 minuti. Roby Baggio era fragile ma non depresso come descritto nel film. Claudio da Oxford.