Successivamente alla “proiezione” in streaming di Jumbo, avvenuta durante la 20° edizione del Trieste Science+Fiction Festival, abbiamo avuto modo di intervistare la regista Zoé Wittock,
Questo un breve estratto dell’incontro con la talentuosa filmmaker belga:
Spigliata, a proprio agio nel rispondere alle nostre domande, Zoé Wittock ci ha parlato del suo Jumbo, e del rapporto con il continente africano che le ha ispirato il titolo del film.
La regista ha descritto la sua curiosità per l’oggettofilia, questa particolare sindrome che porta determinati individui a sposare l’oggetto di cui si sono innamorati. Nel particolare, si è detta intrigata dalle vicende di Erika Eiffel, “moglie” del famoso monumento parigino, e che già nel 2012 le aveva fatto pensare di raccontare una storia d’amore fantastica.
Così come ci ha svelato Zoé Wittock, il progetto è rimasto nel cassetto per molti anni, ciononostante non è di certo rimasta immobile, iniziando a dare vita al suo cast: ha infatti spiegato che in primo luogo aveva scartato l’attrice Noémie Merlant, a suo dire troppo aggressiva per il ruolo di Jeanne, scelta però divenuta ovvia dopo un secondo provino, e visto il risultato finale di Jumbo non possiamo che darle ragione.
Colpiti dalla scena in cui Noémie raggiunge l’orgasmo con la giostra, abbiamo chiesto alla Wittock se avesse preso ispirazione altrove, e se avesse volutamente creato quel bianco accecante per riflettere la purezza e l’innocenza di Jeanne. Ci ha risposto che, seppure possa vedersi un certo parallelismo con quanto da noi suggerito, la sua idea della sequenza ha altre origini. “Ad ogni modo la scelta del bianco nasce appunto per rendere l’intera scena surreale ma poetica, con un certo tocco di magia. Lasciando appunto intendere che la protagonista ha una sua innocenza. Interessante il concetto di come poter scegliere l’elemento di contatto tra la macchina e la ragazza. Non volendo creare qualcosa di freddo e metallico, ha infatti optato per il liquido lubrificante come elemento di unione tra i due corpi.” Ottimo il risultato finale.
Abbiamo poi chiesto alla regista perché optare per una giostra come oggetto del desiderio di Jeanne e perché così grande. La Wittock si è detta convinta che un parco divertimenti, una giostra, sia un elemento universale che lega ognuno di noi alla propria infanzia, quindi individuabile in qualsiasi posto in cui il film viene visto. La scelta di una così ingombrante attrattiva è stata poi dettata del fatto che l’oggetto non fosse qualcosa di piccolo e che poteva essere sempre in possesso di Jeanne ma intrasportabile ed ingombrante. Questo rapporto complicato farà si che la ragazza possa crescere ed affrontare la vita in modo più aperto. Apertura mentale che, invece sembra mancare a chi la circonda, come ad esempio la madre che non accetta le deviazioni della figlia che son comunque innocenti e non fanno male a nessuno.
La Wittock ha tenuto poi a rimarcare che gli effetti speciali sono vecchia scuola, il CGI è praticamente assente, eccezion fatta per la scena citata all’inizio, il tutto per dare maggior risalto alle vicende narrate e non alla spettacolarità dell’effetto visivo.
Nel ringraziare la regista Zoé Wittock per l’intervista, vi invitiamo a leggere la nostra recensione di Jumbo a questo indirizzo.
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