[La Bottega del Cineasta] La nostra critica su Passengers, il film con Jennifer Lawrence
Torna l’appuntamento con la rubrica La Bottega del Cineasta, uno spazio riservato alle mini recensioni realizzate da Universal Movies riguardo film sia nuovi che un po’ più datati, a tal proposito quest’oggi diamo spazio a Passengers, il film di Morten Tyldum con Chris Pratt e Jennifer Lawrence.
La trama
L’astronave Avalon sta compiendo un viaggio interstellare di 120 anni verso la colonia Homestead II. A bordo ci sono 5000 passeggeri in sonno criogenico. A causa di un guasto, il passeggero Jim Preston si sveglia dal sonno con 90 anni di anticipo. Insieme a lui, anche la giovane Aurora Lane vive nella sua stessa condizione. I due, innamoratisi a vicenda, dovranno tentare l’impossibile e capire cosa è andato storto per salvare la propria vita e quella dei restanti passeggeri.
Il film
Dopo il biopic The Imitation Game sul matematico Alan Turing, il regista Morten Tyldum si approccia al genere fantascientifico con un film che vuole essere al contempo un melodramma sentimentale e un’avventura interstellare, eseguendo diligentemente il compito senza fronzoli, ma anche senza particolari invenzioni registiche.
La sceneggiatura di Jon Spaihts, però, non riesce a far collimare le due intenzioni primarie e finisce col creare un susseguirsi di azioni slegate le une dalle altre senza un vero fulcro narrativo. Se nella prima parte il film vuole affrontare una storia d’amore – piuttosto banale a dirla tutta – con tematiche “alte” (la solitudine, il proprio posto nel mondo e nello spazio, la ricerca dell’amore vero, la responsabilità su decisioni drastiche ecc.), non si riesce però ad andare più in là di filosofeggiamenti stiracchiati ad opera di un androide barista (interpretato da Michael Sheen).
La seconda parte, più movimentata, regala qualche momento spettacolare – per merito anche di raffinati effetti visivi – ma il sentore di già visto è sempre più preponderante, arrivando così a un finale dove succede tutto quello che non è successo nell’ora e mezza precedente, sfociando poi nel ridicolo involontario quando la tecnologia viene usata nel più improbabile e romanticistico dei modi.
Pesano, infine, le derive kubrickiane che emergono qua e là, a cominciare dall’astronave guidata da un computer che consente di eseguire qualsiasi attività, ma anche da certe sezioni dell’astronave Avalon che richiamano troppo quelle dell’astronave Discovery di 2001: Odissea nello spazio.
La prova dei due protagonisti è buona, ma la Lawrence riesce a conferire al proprio personaggio (che si chiama Aurora non a caso: il rimando è a La Bella addormentata nel bosco) maggior spessore rispetto al collega Pratt. Ci si domanda poi come ha fatto Andy Garcia ad essere accreditato nei titoli di coda: sta sullo schermo cinque secondi e non apre bocca.
Voto: 5.5
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