Dal 19 luglio è disponibile su Netflix l’attesissima terza parte della pluripremiata serie spagnola La Casa di Carta. Otto nuovi episodi che verranno seguiti, all’inizio del 2020, da una quarta parte, già in produzione. Ecco la nostra recensione.
L’arrivo de La Casa di Carta, lo scorso anno, sconvolse tutti. Fu una sorpresa straordinaria: una serie non americana, non in lingua inglese, pensata per il pubblico generalista spagnolo, con attori totalmente sconosciuti ma capace di frantumare qualsiasi record di ascolto sul colosso distributore Netflix. Fu un successo straordinario e strameritato ma, si sa, un conto è essere la cenerentola, un altro è doversi riconfermare quando si alza l’asticella.
In questa nuova terza parte (che in realtà sarebbe la prima parte della seconda stagione…) i produttori spagnoli di Antena 3 si sono trovati davanti alla difficile sfida di prolungare una storia, quella di una rapina, fatta per durare non più di una o due stagioni al massimo. Moltissimi spettatori, infatti, alla fine dei passati episodi hanno pensato: “Ok, la rapina è finita, sono scappati con il malloppo, E MO??”.
“E mo facciamo un’altra rapina. Dopo la Zecca di Stato, rapiniamo pure la Banca centrale Spagnola”. Questa, sostanzialmente, è la trama della terza parte di La Casa di Carta. E qui, purtoppo, cominciano i problemi. Gli scricchiolii della trama visti nella parte finale dello scorso anno, esplodono drammaticamente in questi nuovi episodi. Il movente alla base del nuovo tentativo di rapina è infatti una barzelletta.
I protagonisti potrebbero stare tranquillamente in infradito sulla spiaggia per il resto della loro vita quando, improvvisamente, per un discutibile mix tra solidarietà criminale e confusianaria lotta contro un “sistema” che si accusa continuamente ma di cui non si capiscono bene le colpe specifiche, decidono di rapinare una delle banche nazionali più fortificate al mondo.
E’ una minchiata. La trama generale non sta in piedi. La lotta del Profesor (Alvaro Morte) contro il sistema è gestita in maniera molto banale, piena di luoghi comuni sui “poteri forti” senza che poi, come detto, si capisca bene quale sia la colpa dello stato spagnolo nel reagire a dei rapinatori che hanno rubato miliardi ai contribuenti.
Ma la buona notizia è che incredibilmente, se decidiamo di ignorare la banale storia sullo sfondo, La Casa di Carta rimane una serie di altissimo livello. Anzitutto il livello tecnico di questa produzione è CELESTIALE. Personalmente non ho mai visto delle serie non americane arrivare a questa perfezione della regia, della fotografia, della scenografia e del comparto sonoro. In certi momenti La Casa di Carta sembra un kolossal holliwodiano pià che una serie tv per il pubblico spagnolo.
Se il comparto tecnico è in cielo, la recitazione è nello spazio. Gli attori de La Casa di Carta sono straordinari, tutti così pieni di personalità, di capacità recitative. Non solo il grande Profesor, ma anche Berlin (Pedro Alonso), Tokio (Ursula Corbero) e Arturo Roman (Enrique Arce) sono interpreti capaci di emozionare con dialoghi pieni di intensità e pathos, seppur nel contesto di una trama generale che, come detto, non è esattamente sosfisticata.
Peccato solo che, in questi nuovi episodi, uno dei personaggi migliori dello scorso anno, la Inspectora Raquel Murillo, interprerata dalla bravissima attrice basca Itziar Ituno, sia finita oramai totalmente in secondo piano, oscurata da una storia che l’ha trasformata, in maniera troppo improvvisata e frettolosa, da fedele servitrice della legge a convinta compagna di un criminale idealista in lotta contro il famoso “sistema”.
Nel complesso, i tanti punti di forza di questa serie, non a caso vincitrice di un Emmy Award, riescono a compensare la debolezza della storia. Gli otto nuovi episodi rimangono assolutamente godibili, pieni di suspense, di emozioni, di energia. E va bene così, basta che non facciate passare La Casa di Carta come un capolavoro sceneggiatura, come il frutto della mente di un premio nobel della letteratura, perché non lo è.
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