Abbiamo visto Un Uomo, un Mostro e un Mistero, il corto con David Harbour, distribuito oggi su Netflix. Questa la recensione.
Con ancora addosso i panni dello sceriffo Hopper di Stranger Things ecco tornare prepotentemente sulla piattaforma Netflix l’attore David Harbour, questa volta nei panni di un se stesso particolare. Il lavoro – che lo vede protagonista – si intitola Un uomo, un mostro e un mistero ed è un corto di ottima fattura diretto con mestiere da Daniel Gray Longino.
David Harbour III approfondisce l’enigmatica storia della sua leggendaria famiglia di attori nata con suo nonno David Harbour Sr ed esamina l’eredità di suo padre (David Harbour Jr) ed il suo ruolo in una commedia fatta per la TV fortemente voluta dal genitore.
Dove inizia la realtà e dove finisce la finzione? Oppure si tratta dell’esatto contrario? O, meglio ancora, nessuna delle due domande che vi abbiamo posto sono quelle da farsi?
Il Commento
Un uomo, un mostro e un mistero è l’esercizio di stile del produttore e scrittore John Levenstein (Ti presento i miei), ma non solo. Il film testa il polso al regista ed all’intero cast, dando la possibilità ad ognuno di loro di mostrare la propria bravura nell’arte recitativa, con sfoggio di elementi propri della comicità e del dramma.
Chi è il protagonista e chi l’antagonista? visioni successive del corto offrono chiavi di lettura differenti, sebbene il susseguirsi delle immagini e delle battute resti lo stesso.
In questo corto si riscopre un Harbour mattatore. Istrione ed imponente, l’attore accarezza lo schermo, dominandolo poi nell’attimo successivo.
Il film, appartenente al genere mockumentary, è un documentario investigativo parodico sulla falsa riga delle tante trasmissioni che affollano i palinsesti televisivi e suddivide gli eventi su piani narrativi differenti fra loro.
Ciò che riguarda Harbour Sr. è presentato come fosse una pellicola dell’epoca, come realmente accade nei cold case che siamo abituati a vedere. Anche l’incalzare del protagonista nell’indagine e proprio di questo tipo di prodotto.
Parte del recitato è ambientato in uno studio di costruzione teatrale e ricorda un modo di fare TV proprio delle serie anni ’60 e ’70 inglesi, stile BBC per intenderci.
Bravi tutti gli attori, anche se la buona parte di loro sono nomi poco noti in Italia, fra questi segnaliamo Kate Berlant (Miss Macbeth), capace di spiegare cosa sia recitare con una semplice espressione facciale, Alex Ozerov (The American, Orphan Black). Fra i tanti nomi va segnalato l’eclettico Alfred Molina (Spider Man 2, Frida, Il Codice Da Vinci) vero e proprio animale da palcoscenico che con entrate ad effetto e monologhi arricchisce le scene che lo vedono protagonista.
Harbour ci porta avanti e indietro fra realtà e finzione, riuscendo in una manciata di minuti a cogliere la nostra attenzione, alcuni rimandi ai classici della satira si possono carpire fra le pieghe della storia.
Alcune scene sono riprese come fossero vecchi VHS anni ’80, un rimando a Stranger Things? Non fermatevi, comunque, ai titoli di coda, potreste perdere il post credit.
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