In una sera di Febbraio, mentre Gigliola Cinquetti vince il festival di Sanremo, l’ospedale Santa Maria della Misericordia di Messina si ferma per alcuni minuti. L’urlo di una donna, durante il travaglio, scandisce “Tu sei un bastardo!” che farà bloccare medici, infermieri e malati terminali; gli abitanti del sesto piano guardano attoniti una sola porta. Da quella stanza uscirà Maurizio: 4.780 Kg. Il bastardo è il padre.
Concepito dopo un accordo tra i coniugi, dato lo stipendio in aumento del capo famiglia, il ragazzino navigherà tra tubature otturate e ragù in cottura da giorni. Non avrà preoccupazioni finchè ci sarà una palla da rincorrere. Solo crescendo poi, e solo troppo tardi, si accorgerà che di libri ne esistono troppi, e lui non ne ha letti abbastanza, perché il tempo l’ha regalato alle donne.
Maurizio non è uno di quelli che si suole – un po’ volgarmente – definire sciupa femmine. Solo che possiede quella magia: il talento dell’ironia. È anche scuretto, senza barba, appeso a delle spalle minute, ma come le muove è quello che piace. Appassionato di glutei collinari. Le sue mani sono passate decine di volte attraverso chiome bionde, dispensando baci anche alle meno meritevoli. Ci sa fare, insomma, al pari dei belli.
Ma conoscerà quell’oppressione dello spirito che chiamiamo angoscia quando, qualche giorno prima dei trentun’anni, intuirà di non aver collezionato un bel cazzo di niente. Si renderà conto, in un attimo, di essere la persona meno ambiziosa che abbia mai conosciuto. Passa le giornate a bighellonare in paese, con la vespa due tempi va a prendere il caffè al bar Musumeci, lo offre ai conoscenti. Dalla fronte al collo si impomata il capello – prematuramente sul grigio andante – di gelatina. E nonostante il repertorio d’abbigliamento sia scarso, quelle quattro o cinque robe le fa combaciare sempre. Sente questa vita ingolfata, ma tiene il calzino abbinato.
Si dedica full time alla relazione segreta con la signorina del quinto piano, Tilde, moglie dell’ingegner Sacconi. Da quando lei, un giorno, in portineria, lo inviterà a prendere un tè, si vedranno due volte a settimana, per mesi. Faranno sesso e fumeranno la sigaretta. Lei sarà solita usare dei termini non comuni, che un pomeriggio alla parola “metafisico” Maurizio rimane spiazzato: inghiotte saliva invano, non sapendo cosa rispondere. Spunta un’affettuosa tachicardia, che lo accompagna in queste situazioni. Si sente soffocare d’ignoranza.
Gli spermatozoi, l’unica forza, tutto ciò che ha.
Arriva la soffiata a Papà Graziano, una mattina dal barbiere, che alla Esso di via Asiago cercano personale. Mentre fa la barba pensa a quel perdigiorno che ha messo al mondo. Ma Maurizio che si gratta la foresta del petto, con una faccia da minchione sul tavolo della cucina, non ne vuole sapere di un lavoro del genere. “Provaci, che ti costa” il padre suggerisce, Maurizio alza lo sguardo e prorompe: “Ma per diventare un giorno chi? Non metterò benzina per tutta la vita”. Andrà una settimana dopo a fare “la prova”. A calci in culo, alle 6.30 del mattino. Con le conseguenze del sonno ben evidenti sul viso.
Lo gestiscono i fratelli Deodato questo centro benzina, che dopo un paio di mesi dal suo arrivo moriranno investiti in bicicletta. Maurizio non rimane sconvolto da quest’evento, fino al punto che il padre, insistente come un trapano, lo costringerà a prendere in gestione la baracca. Adesso rimarrà sconvolto: sentirà il fetore della fine dell’esistenza arrivare.
Dispensa centinaia di “buongiorno” e “arrivederci” al prossimo, ma Maurizio resta nauseato dalla vita e solo la visione di donne formose lo fa respirare. Questa fortuna – però – si presenta occasionalmente, perchè il resto dei giorni è tutta in apnea. E un completo da meccanico, con una scritta palindroma ricamata a mano, non lo aiuterà di certo a sorridere.
“Ma qua che ci faccio? Dannazione a me!” si ripete durante quelle giornate che durano una vita intera: la maggior parte. Che i secondi non muoiono mai in quelle ore. Maurizio spera scelgano tutti di servirsi da soli, perché quando passa il parvenu in bmw, capta la fisionomia e l’indisposizione è immediata. Ma finisce sempre a servire il cliente.
Con tutto quel liquido altamente infiammabile non è mica facile vivere sereni: se fai una cazzata potresti causare un bel danno. Non è il caso di Maurizio, che la precisione con cui progetta la sua vita è chirurgica.
La sigaretta, oramai, è un tutt’uno con la sua mano. Il filtro lo infila tra i denti, e i suoi occhi non hanno paura di nessuna varietà di fumo. Si meriterebbe l’ergastolo al carcere dei non fumatori, quando accende la seconda sigaretta con il mozzicone della prima. Scarta, insomma, pacchi di sigarette al giorno, vivendo costantemente quel rischio esagerato che sarebbe ciccare dentro una pompa o in una pozza bagnata di benzina. Ha acquisito una tale dimestichezza con la cenere e il trasporto della sigaretta, che alcune volte dimentica di averla in mano.
Torna a casa con il motorino elettrico a pedali, e fa il pieno prima di andare a letto, ma di Gaviscon, perché soffre di un bruciore cronico alla bocca dello stomaco. Potrebbe accendere le sigarette con il fuoco della digestione insomma.
Tuttavia, dopo qualche altra scopata amara, si metterà il cuore in pace. Si arrenderà alle geometrie tristi del quartiere, agli edifici affumicati, perfettamente coniugabili con i suoi giorni sordomuti; alternati, però, ai giorni chiassosi e illuminati, in cui file di automobili si susseguono, per la preoccupazione inguaribile dello sciopero imminente.
Un elemento stravolgerà tutto: il cinema.
Inizia a rivedere i film che conosce. Continuerà con decine di altri. Così una distrazione positiva dal lavoro diventerà brama di conoscenza. Crea una postazione computer nello stanzino che si ritrova come ufficio, e comincia a vedere le intere filmografie di registi che lo hanno scosso più di altri. Vede “Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese.
Interrotto decine di volte da quegli stupidi clienti che hanno fretta di arrivare puntuali a lavoro. “Ha per caso venti euro da scambiare?” è la frase tipica, “Certamente” è la risposta di Maurizio. Che un millesimo dopo sarà seduto e alzerà il volume, rintanato nella sua botola. Latente nel suo universo fatto di pellicole in bassa risoluzione. “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore dopo pranzo. Delle lacrime si schiantano sulla divisa.
Quando guardi un film quotidiano per anni, ci sono dei giorni in cui non puoi arrivare al pomeriggio senza averne visto uno. Si entra per via diretta nella spirale della dipendenza. E Maurizio, che si droga sul posto di lavoro, si spara endovena Ennio Morricone che la pace dei sensi sta per arrivare, e invece arriva la signora con il vestito colorato: “Me le controlla le ruote posteriori? Che forse ho bucato!”.
Metà Novembre 1997: infrange il record di 55 sigarette in un giorno, mentre guarda “Spartacus” gli arriva una chiamata: è morto Graziano. Il padre. Tiene d’improvviso un dolore nero. Una paura dell’eterno che non lo fa ragionare.
Dopo il funerale decide per la prima e unica volta nella sua vita di andare da una puttana. Ma in macchina si accorge che la ragazza somiglia tremendamente a Maria Schneider, e l’unica cosa che fa durante la copula è pensare a Ultimo tango a Parigi. E al vento tra i capelli di Marlon Brando. E al burro.
Perché il cinema lo sta stuprando di passione. Ci sono giorni in cui diventa Clint Eastwood, ed esce dalla fodera la pompa nera del Diesel, la punta al proprietario dell’auto come una pistola. Perderà così decine di clienti.
Quando i capelli inizieranno a diventare bianchi, Maurizio vanterà di aver trascorso gli ultimi venticinque anni della sua vita in giro per il mondo, da uno stanzino impolverato. Ma inizierà con i mesi a dimenticare dove ha riposto gli scarponi. Dopo alcune visite mediche, stabiliranno i dottori un principio di Alzheimer, che gli farà dimenticare molti dei suoi giorni spettinati. Solo una cosa ricorderà bene.
Si trasferirà alla casa di cura S. Francesco di Sales (dove i nipoti hanno alcune conoscenze) e racconterà ai suoi compagni di fine corsa le storie che lo hanno turbato. Uno dei suoi più avvincenti racconti inizierà così: “Sono stato Norman Bates e Gordon Gekko, e Jack Torrance che brividi mi metteva. Durante un tramonto sono stato Don Vito Corleone, seduto sulla mia sediolina di plastica. Una mattina, invece, ho rifiutato di mettere il pieno a uno che non si è accorto che fossi Mastroianni. Ho vissuto così tante vite da non ricordarle più.”
Ma tra gli ascoltatori ipnotizzati dalle sue storie ci sarà una donna: una principessa in menopausa. Proprietaria di due occhi color miele. È l’infermiera Teresa, che sta annegando nel mare di parole proferite da Maurizio, il quale la riconosce prontamente con un sorriso. Perché la memoria fa la brava quando si tratta di profumo di donna.
I mesi si porteranno via i ricordi, insieme ai capelli brizzolati di Maurizio. E Teresa, che non aveva mai scoperto quale tormento fosse l’innamoramento, trascurerà gli altri per passare un minuto in più con lui. Lui che non la degna di una carezza. Che distribuisce ancora ironia, ma il suo passatempo preferito è pretendere. Lui che un pomeriggio d’Aprile, guardandola negli occhi e agitando i suoi bracciali di bigiotteria al polso, la colpirà con: “Tu non lo sai chi sono io!”. Teresa, che dal cuore le sfugge involontario un sospiro, risponderà flebile: “Sì, invece”. Potrà permettersi dei secondi di autonomia per aggiungere:
“Tu sei un bastardo.”
Scopri di più da UNIVERSAL MOVIES
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.