Sto passeggiando senza pensieri con passi irregolari, tanto siamo sereni e non ci importa niente ti toccare le mattonelle simmetricamente. Siamo su un lungomare, con un po’ di brina marina che ci spruzza in faccia, come quando qualcuno fa uno starnuto senza la mano che protegge. Il piacere è più o meno lo stesso.
Tutto a un tratto, che vedo da lontano: due ombre avvicinarsi alla mia parte. Due tiponi strani che fumano e passeggiano. Neanche mi guardano, ma io origlio la loro conversazione, con un fare da mosca. De Sica Vittorio e Risi Dino sono ‘sti due uomini, li riconosco dalle foto che ho visto. Il secondo dice al primo: “Vitto’ mio figlio ha fatto due cosette buone, ma poi dov’è finito?”. Il primo invece sospira: “Te vorrei fa’ prova’ che cosa vuol dire vergognarsi del proprio figlio. Ma che ha combinato in tutti questi anni il figlio mio? Dico io, che ha combinato?”
Fino a qui può anche starmi bene: padri scontenti dei figli. Un po’ tutti lo sono, anche se molti fingono. Ma cammino e cammino più veloce, proporzionalmente al mare che diventa sempre più grosso, con una grande voce. E quello che mi arriva in viso non sono più spruzzate conosciute, ma sono come delle grandi cacate d’acqua, di vacca, in faccia. Mi bagno anche le cavità oculari. Anche il cervelletto.
Mi fermo, così, in prossimità dell’ingresso di un lido balneare. Senza insegna. Mi sarei aspettato uno scritta arrugginita caduta a pezzi, con quelle T stanche e crocifisse che vogliono suicidarsi. Succede cosa, quindi? Che vedo uomini importanti, che confabulano come se dovessero organizzare un colpo di stato, eleganti. Ma non organizzeranno mai un golpe perché i visi, loro, ce li hanno morbidi e sinceri. Gli occhi buoni.
Proseguo avanti però, scendo delle scale, con un legno rotto ogni tre passi. Le scendo tutte perché sulla battigia vedo un uomo da dietro. Anche se non deduco la faccia, meglio l’espressione, dai capelli e dalla schiena capisco che quell’uomo è infelice. Mi avvicino come si avvicinerebbe un gatto che non vuole far scappare la sua preda succulenta. E mi siedo.
Faccio una rotazione della testa di 45° e subito che in bocca non tengo neanche un millilitro di saliva. “Mister De Niro!” prorompo come avessi incontrato Dio. Lui mi saluta come avesse, invece, vinto al superenalotto, ma perso il biglietto vincente. “Dici a me? Stai parlando con me?”.
“Sì, maestro” sussulto io, come avessi una Super Santos in gola.“Che succede?” aggiungo. Egli mi risponde così: “Lì, i ragazzi, non mi vogliono con loro”. Io ci penso un po’ e mi viene naturale: “Signor Roberto, proprio ragazzi quelli non sono! Mi pare di aver intravisto Mister Allen, lui si allena per i 90, i suoi ultimi film sono una sorta di capriccio senile ormai. Mio nonno vuole le patate ogni giorno, lui vuole fare un film ogni sei mesi”.
L’istrione prosegue: “Hai ragione in parte. Tu che potresti essere mio figlio, dimmi cosa posso aver fatto per meritarmi di essere messo in castigo?”
“Maestro” – dico io – “nessuno proprio l’ha messa in castigo!”. Il sommo attore allora mi parla come fosse una ragazzina disperata che ha da poco perso le amiche e si è chiusa in stanza per piangere, ma le lacrime non escono. “E allora cosa ho fatto per meritarmi di essere discriminato?”
A questo punto non c’è più uno dei più grandi attori del cinema contemporaneo di fronte ad uno scapestrato ragazzo di paese: ma abbiamo due miseri esseri umani. E uno dei due non se la passa proprio bene moralmente. E questa volta non sono io.
Allora metto nei sacchi della mia mente tutte le provviste di coraggio che negli anni ho accumulato per eventuali zuffe o frasi importanti da dire. Mi attrezzo per bene e sono pronto per aprire bocca. Logicamente conoscendo il rischio di poter essere seppellito da un grande professionista del cinema e dalla Signora sabbia e dunque morire in una spiaggia senza nome, che nessuno mai andrà a cercare.
“Signor De Niro, io le parlo da spettatore pagante.” Esordisco per non essere accusato di presunzione. “Lei ha meditato sui film per cui, negli ultimi anni, ha lavorato?”
“C’ho pensato” – mi dice lui come fosse un fratello maggiore – “e quindi? Non penso di aver esagerato”. “Stammi a sentire con molta attenzione, ci sono tre modi di fare le cose qui: il modo giusto, il modo sbagliato e il modo in cui le faccio io.”
E lì allora fui costretto non a sputare il rospo, ma a sputare famiglie di rospi, Re rospo e tutto il reame. Perché deve capirlo questo signore che cosa ha fatto per essere trattato come rottame.
“Maestro, come dire, lei è passato da Toro Scatenato a Nonno Scatenato. E il suo pubblico si chiede dove cavolo abbia sbandato. Era un metro e settentasette di genio, lei.”
Il maestro attonito, si gira lui adesso di 45°, ma verso sinistra, e con lo sguardo da Travis Bickle spara: “ Un attore deve fare il proprio mestiere, qualunque sia la sua parte, qualunque sia la sua importanza nella storia. Non puoi capire, ragazzino!”
Al “non puoi capire, ragazzino!” si incazzerebbe anche San Francesco d’Assisi. Pure il compagno di classe studioso e buono con tutti, che cammina a zig zag per non uccidere le formiche, diventerebbe un pazzo.
Adesso, come se stessi sparando con una calibro 45 al boss del mio quartiere, esclamo: “Signor mio, lei è stato il protagonista di alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema. Io non ero neanche tra i progetti dei miei genitori, quando andarono a vedere C’era una volta in America. Ma le posso dire che lei è stato Noodles, per i nonni e per i nipoti. Per i delinquenti e per gli intellettuali. Ha influenzato l’immaginario collettivo di milioni di individui nella faccia di questo pianeta.”
Poi esco la mitragliatrice: “È un po’ come se il maestro Fellini, in prossimità della fine della sua carriera, avesse diretto, che ne so, Vacanze di Natale.”
Lui mi ascolta quindi continuo, sperando – ripeto – di non morire come un mangiasabbia: “E adesso, alla terza età – dobbiamo ammetterlo, signore – le va bene la parte di uno stagista in un’azienda che vende vestiti? Ma stiamo pazziando? Direbbe Totò.”
“ È stato Don Vito Corleone da giovane lei, signore!”
“La fama e il successo si affievoliscono” – il boss del cinema mi spiaccica in faccia – “misuratamente al conto in banca”. “Non sai cosa sia il nostro mondo, giovane ragazzo”.
“Sicuramente” rispondo. “Ma lei è un’artista, non un cartamonetaio”. E qui mi vado a schiantare: “Posso anche accettare Manuale d’amore 3, c’era la Bellucci che piace ad ogni età e stato sociale, e allora glielo consento.” Il mascellone di Robert De Niro sogghigna, nel contempo.
“Ma mi deve permette di dire che mi vergogno un po’ quando, al cinema, vedo ragazzini che la ricorderanno, probabilmente, per essere stato il nonno che voleva inchiappettarsi le giovani bionde amiche del nipote. Con quel coglione di Zac Efron, tra l’altro”. Quindi allego: “Mi perdoni se sono così schietto.”
Diventiamo riflessivi tutt’a un tratto. Io prendo il tabacco e rollo per me una sigaretta. Mr. Bob mi guarda il tabacco come avessi in mano una mozzarellona napoletana appena fatta. Senza dire niente glielo passo e lui, con un fare pratico, si gira una sigaretta. “Il portatabacco non lo laverò mai più” mi prometto tra me e me. Poi ci ripenso: “Ma che dico, me lo incornicio.”
Così proferisce De Niro: “Forse hai ragione, figliolo”– mi guarda e si rigira dalla sua parte – “ho fatto dei pessimi film negli ultimi anni!”
Io non so come sentirmi, non riesco a decodificare la mia emozione che a un certo punto percepiamo una voce forte e stabile, nel momento in cui l’attore al mio fianco finisce la sua frase. Neanche un attimo per metabolizzare la tristezza. “Robert, che devi fare? sali che Francis ha portato da mangiare!”. Nessuna madre era a pronunciare queste parole, ma Alfredo Pacino. Amico e nemico, nel bene o nel male, del nostro Roberto.
Frettoloso e incredulo il signor De Niro si alza e si scrolla la sabbia da dosso, dalla camicia e dai pantaloni. Così decide di levarsi le scarpe che sono diventate barche piene di sabbia. E cosa vedo? Il grande Robert De Niro ha un buco nel calzino. Anche lui. Cioè anche lui come noi. Magari anche sua moglie spaia le calze e le perde chissà dove. Si dice che la centrifuga le inghiotta.
Questa situazione mi fa sentire semplicemente felice, umano come tutti, e affetto da un desiderio di riconoscenza, esclamo prima che vada via a banchettare: “Signor Roberto, siamo in spiaggia adesso, ma si ricorda gli alberi? Si ricorda come sono diversi gli alberi? Se lo ricorda, eh? E le montagne? Si ricorda le montagne?”
L’uomo perde per un attimo la sua astuzia professionale, la furbizia dell’attore, il pelo del lupo, lo noto nell’espressione del viso. Si rimette la scarpa, quindi si volta e mi risponde: “Un colpo solo, ragazzo”. Si prende 6 secondi di autonomia del silenzio, perchè sa che può, e integra:”Un colpo solo.”
Quindi mi sveglio tutto sudato, con la luce solare che mi trafigge come un laser. Sono disidratato e non ricordo il sogno affrontato. Mi lavo il viso e faccio la pipì. Adesso me lo ricordo però. Accendo la tv e faccio colazione. Latte, caffè e Taxi Driver. Ma che ho sognato? Sì, deve essere stato un incubo. Che ve lo dico a fare.
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