Mi chiamo Calogero e oggi, forse, mi sono fidanzato.
Sono tornato dal servizio di leva da Civitavecchia mare e ho chiesto la mano della figlia di Don Fofò, che dovevo fare? L’anno scorso ogni domenica alla messa andavo, anche solo per guardarla dieci minuti, per sentire l’odore della veste stirata. Solo per essa lo facevo, che io con Gesù Cristo non è che siamo amici amici.
E che vi debbo dire: quel giorno passai davanti casa sua, che ti viene il cuore a vedere quelle tapparelle di legno nuovo fresche di pittura e le dissi: “Caterì, stasera al cinematografo ti porto, ci stai?”. Lei mi guardò e mi sorrise. “Quindi – dico io – al cinematografo ci viene la ragazza”.
Dunque alle otto di sera passo a prendere la quasi mia Caterina. Io, che birbante avevo controllato il Corriere di Sicilia alla pagina prima dell’ultima, le sparo ben preparato: “Se vogliamo andare in paese fanno l’americanata, un film western, sangue e pistolettate, Django si chiama, la D è muta”. Lei mi guarda con l’espressione che le americanate le guarda con l’onorevole suo padre, che a lui assai piacciono. Io, allora, esordisco: “Però se andiamo al paese vicino, mezz’ora di strada, c’è un film comico, di quelli di uno che lo sa come si fanno i film. Uccellacci e Uccellini si chiama”. “Amuninni!” mi dice la mia futura sposa.
Al cinematografo lei entra, mentre io faccio la fila per prendere il vino e soda e la semenza. Seduti, lei si fa le risate mentre io la guardo e sorrido coi denti miei, che alcuni se ne andarono che sembra che c’ho il pianoforte in bocca.
Il film l’abbiamo gradito assai. Ma usciamo e incontriamo un signore ben vestito, della provincia pare, con una giacca di renna fine e l’occhiale rotondo. “L’avete capito il film o no?” ci dice con la voce forte. “Ve lo spiego io, signori miei”.
Questo film di Pier Paolo Pasolini è. Solo lui poteva, dico io, pensare e scrivere un film così intrinsecamente politico, manifestare il proprio dissenso, con due attori così diversi. Crea una coppia comica di generazioni così distanti che qui non può solo fare ridere, deve suscitare il sentimento del contrario: deve far riflettere. Un gesù cristo borgataro alle prime armi (Ninetto Davoli) e un Padre Nostro del cinema italiano (Totò). Un pulcino e un gran gallo che camminano insieme.
Passeggiano che vedono un corvo nero come la morte che parla. “Ma lei chi è? Da dove viene?”
“La mia città si chiama ideologia, abito in via Karlo Marx”. E allora la scarpinata i tre signori la fanno insieme, con ‘sto corvo attaccabottoni che racconta una storia del 1200 di due frati francescani, due “frati prataroli”.
I due devono andare a convertire i Falchi, che sono prepotenti, e i passerotti, che sono umili. Passano le stagioni e i Falchi si convertono, ma per farlo con i passeri ci vuole la pazienza. Loro non rispondono, non si parlano cinguettando, i passeri comunicano solo in un modo: saltellando. Iddio, però, deve capire che la classe dei passeri e quella dei falchi si ammazzano tra loro. E, perdonatemi: “non è la disuguaglianza tra classe e classe, tra nazione e nazione, la più grande minaccia per l’umanità?”. I Falchi allora non sono che un’allegoria della borghesia, si chiedono cosa voglia questo benedetto Dio da loro. I passeri, invece, rappresentano il popolino affamato e sfiancato per portare il pane a tavola, accolgono la parola di Dio, sperando abbia a che fare con il cibo.
Nel frattempo il leitmotiv e le melodie sensibili di un violino lento, assemblate da Ennio Morricone, accompagnano Ninetto e noi fra le strade sdentate e sgangherate di luoghi che non si sanno. Musiche che il regista farà combaciare con sequenze velocizzate da cinema muto, cugine dei film di Chaplin e Buster Keaton.
Arriveranno i due erranti a compiere il progetto iniziale: riscuotere l’affitto di una casa campestre, dove vive una famiglia che delle rondini mangia il nido bollito, talmente la fame è strega. Ma ‘sto affitto, ovviamente, non lo riscuotono. I casali e le palazzine sono scelte da Dante Ferretti e Luigi Scaccianoce, che istituiscono una scenografia teatrale di periferia nella periferia. Titoli di testa e di coda cantati in rima sono la sublime bomboniera di un matrimonio di immagini straordinario.
E poi il bianco e nero di Tonino Delli Colli. Mizzica il bianco e nero di Tonino Delli Colli!
Più comico-grottesco nella resa rispetto ad altri film del regista bolognese-friulano, ma non per questo meno pasoliniano. E’ uno dei più grandi film, fino ad ora, sull’ideologia di Pasolini, che possiamo dire sia un cattolico-marxista. Egli – amici miei – fa una semplice equazione tra Gesù Cristo e Marx, in cui i poveri del vangelo sono i poveri di oggi.
Ma torniamo a noi: ‘sti due girovaghi arrivano così ad un convegno di dentisti dantisti. Patria dell’inclusività, direbbe Montale, ma lo dice Pasolini. Uno di questi tali intellettuali deve riscuotere dal padre di famiglia Totò (figli 18), che adesso diventa il poverello. “Verrete mangiati da un pesce più grosso” suggerisce l’uccellaccio nero. Il corvo – possiamo affermare – sia allegoria dell’ideologia marxista; vuole indicare ai due sordi popolani che ogni classe cerca di cibarsi di quella inferiore, attraverso un conflitto che porterà giovamento solo alla lotta economica dominante.
Uscendo seguono il cartello Cuba. Il comunismo ha i giorni contati, Togliatti è morto. Si ritroveranno tra lacrime e pugni alzati alla sua festa di addio alla vita. Il funerale di Palmiro Togliatti è di una tragicità greca, inserito in una atemporalità che sembra non contaminata dal male nuovo del consumismo.
Quello che crea il poeta-cineasta dunque è una parabola sociopolitica travestita (ma non troppo) con costumi fiabeschi. Attraverso atmosfere sognanti e surreali, quasi felliniane, si scorge il paradosso di due personaggi che sanno di non poter trovare il loro Godot, ma lo cercano lo stesso anche se la diritta via è già smarrita.
Si fermeranno sul ciglio della strada della logica materialista e rimarranno fermi lì. Prima uno, poi l’altro, prima il signorotto, poi la faccia da chierichetto, padre e figlio andranno con la donna che vende il corpo, Luna.
Ma il corvo di sinistra parla e parla e i due decidono di spolparlo come gli antichi, che lasciavano i cocci e mangiavano i fichi. Così muore l’ideologia di sinistra e passano gli aerei che fanno rumore in cielo. Morti i corvi, adesso resta solo il capitalismo assassino. Rimangono gli uccelli volanti costruiti dall’uomo.
Tra qualche settimana – scommetto mille lire – censureranno il film e denunzieranno gli autori!
Così io e Caterina fermiamo il signore che ci sta martoriando di parole. E cortesemente a lui: “Adesso si è fatto tardi signor mio, noi andiamo alla casa”.
Saliamo allora sulla mia imponente Fiat 500 Giardiniera, che è la prima volta che sente un culo di donna sui suoi interni in camoscio. Caterina – ve la starete immaginando – è timidina. Ma appena arriviamo sotto casa sua si gira a sinistra, verso me. Io penso “qua siamo, arriva il bacetto”, e con una voce da donna che sa il fatto suo mi impiatta: “Calogero, ti ringrazio per la serata. Sei la mia colomba. Buonanotte”.
Io aspetto che entri a casa – che non si sa mai di questi tempi – e accendo allo stesso tempo una Nazionale senza filtro e la macchina per tornare. Cinque sono i minuti di strada dalla sua alla mia di casa, ma mi è parso di pensare per ore, anzi per giorni, una cosa: “Sei la mia colomba, ma che minchia voleva dire?”
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