The Last Days of American Crime, recensione del film su Netflix
Vi proponiamo la recensione di The Last Days of American Crime, film diretto da Olivier Megaton.
Curiosamente, proprio nei giorni dell’uccisione di George Floyd Netflix pubblica “The last days pf american crime”. Occorre puntualizzare che si tratta di un adattamento dell’omonima graphic novel di Rick Remender e Greg Tocchini. In ogni caso il film, come si intuisce dal titolo, mostra in chiave distopica uno scenario non troppo lontano da quello violento che l’America ha da poco vissuto.
TRAMA: In un futuro poco lontano il governo statunitense decide di attivare un segnale che inibisca gli intenti criminali dei cittadini.
COMMENTO: L’idea, oltre che originale, pare immediatamente interessante. Purtroppo però, come spesso accade, la realizzazione finisce per lasciare il tempo che trova.
La pellicola si propone di raccontare i giorni che precedono il rilascio del fatidico segnale. Tuttavia le due ore e mezza di film si risolvono nel classico prodotto a stelle strisce: sangue, sparatorie, inseguimenti. Questo scenario fa da cornice ad un’approssimativa e poco chiara descrizione del rapporto tra i tre protagonisti. Si tratta di Graham (Edgar Ramírez), Shelby (Anna Brewster) e Kevin (Michael Pitt): i tre si alleano con il proposito di tentare un ultimo colpo prima che sia resa impossibile qualsiasi forma di illegalità.
Il difetto principale del film risiede proprio nel fatto di concentrarsi prevalentemente sulle relazioni con i vari gangster e tra i protagonisti stessi. Non si lascia spazio invece alla descrizione di tutto ciò che accade al di fuori della specifica situazione: una trascuratezza che avrebbe reso la visione più leggera e intrigante, oltre ad essere probabilmente nelle aspettative del pubblico.
La narrazione appare invece in tal modo sovraccaricata e confusa. Si mette alla prova anche la pazienza degli amanti del genere, soprattutto per la durata: due ore e mezza che si sarebbero potute sfruttare in tutt’altro modo e che si concludono in modo assolutamente scontato.
A sorprendere è soprattutto il personaggio di Micheal Pitt (famoso soprattutto per la parte in “The Dreamers” di Bertolucci): nonostante l’impeccabile interpretazione, non riesce a “salvare” le sorti dettate dal racconto.
Piuttosto infelice è invece il personaggio interpretato da Anna Brewster: il tentativo di costruire una femme fatale fallisce soprattutto poiché finisce spesso per essere oggetto di violenze di genere assolutamente non necessarie.
L’unica nota positiva è rappresentata probabilmente dall’estetica delle scene d’azione, sicuramente rese nel migliore dei modi. Tuttavia esse non rappresentano condizione necessaria per sollevare il film dalla piattezza generale.
Come già detto, il punto di partenza era più che buono per realizzare un prodotto valido. Purtroppo Olivier Megaton questa volta ha fatto un buco nell’acqua.
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