Abbiamo visto 3022, lo sci-fi indipendente a basso budget diretto da John Suits (The Scribbler, Pandemic). Questa la nostra recensione.
Nel cast troviamo Omar Epps nei panni del capitano John Laine, Kate Walsh in quelli di Jackie Miller, inoltre Miranda Cosgrove, Jorja Fox, Angus Macfadyen e Audrey Looye.
Cominciamo subito col dire che 3022 non è l’anno in cui si svolgono i fatti narrati nel film, il significato di questo numero, che non sveleremo per non spoilerare, è ben altro. Questa la trama.
Anno 2190, quattro astronauti americani iniziano la loro missione decennale su Pangea, una stazione spaziale di rifornimento posta a metà strada tra la Terra e la prima colonia umana spaziale Europa Uno. I primi anni della missione trascorrono senza problemi, ma con il passar del tempo lo stress tende a minare l’integrità psicologica dell’equipaggio. Quando un devastante cataclisma cosmico fa esplodere il pianeta Terra, un’onda d’urto investe e danneggia la stazione spaziale, lasciando i poveri astronauti nella consapevolezza di poter essere tra i pochi, se non gli unici, sopravvissuti rimasti. Questo evento costringe i superstiti ad una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
L’atmosfera che si respira è chiaramente claustrofobica, sensazione amplificata da un buon uso delle luci e dall’ambientazione all’interno di una stazione spaziale sporca e vissuta. Un plauso va per questo a David Dean Ebert – già direttore artistico della serie televisiva “Gotham“ – il quale, nonostante il budget limitato, nel curare la scenografia ha saputo fare un buon lavoro.
La regia riesce abbastanza bene a descrivere la tensione attraverso le dinamiche emozionali dei personaggi principali, anche se il livello adrenalinico non raggiunge mai picchi elevati, assestandosi quasi sempre su dei limiti medio bassi. La recitazione non sempre è all’altezza, e questo anche perchè i dialoghi risultano spesso essenziali, a volte anche troppo.
La sceneggiatura, curata da Ryan Binaco, nel complesso può essere definita soddisfacente, una critica va però mossa nell’uso della tecnica narrativa del flash forward che, sparsa un po’ per tutto il film, rallenta un ritmo a volte soporifero.
L’introduzione di altri sopravvissuti preme il piede sull’acceleratore e dona una maggiore tensione al film, anche se gli eventi che vanno così a crearsi sembrano fin troppo prevedibili. Il finale, anch’esso prevedibile, risulta comunque abbastanza emozionante e carico di speranza.
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