E alla fine è successo. No, Starbucks non è sbarcato in Italia e gli Abba non si sono riuniti. Ma il reboot di MacGyver è arrivato davvero sugli schermi televisivi.
Ora, giudicare negativamente a priori i remake o i reboot non ha più senso. Il cinema così come la televisione del ventunesimo secolo si basano su vecchie idee riproposte in nuova salsa. È così, punto. E, personalmente, non sono neppure contrario a questa nuova forma di “non” creatività. Se penso ai reboot di Batman con Christian Bale e Bond con Daniel Craig, sono contento che qualcuno abbia avuto il coraggio di provarci. E così pure il reboot cinematografico della serie Mission: Impossibile da parte di Tom Cruise.
In genere affronto queste “novità dal passato” con mente aperta, accettando il cambio generazionale. Il nuovo che rimpiazza il vecchio. Il ciclo della vita. Tendo a non soffermarmi sui ricordi personali e non mi lascio vincere dalla nostalgia dell’infanzia.
E così, anche questa volta, ho guardato il primo episodio del reboot di MacGyver con obiettiva curiosità e senza pregiudizi. Alla fine dell’episodio però, a caldo, mi sono semplicemente fatto questa domanda: perché?
Prima di descrivire il nuovo MacGyver, vediamo di ricordare due punti sull’originale del 1985. La serie, creata da Lee David Zlotoff e prodotta da Henry Winkler (l’ex Fonzie di Happy Days), narrava le avventure di Angus MacGyver, una sorta di agente segreto interpretato da Richard Dean Anderson (qui di fianco con me in una foto del 2010) che presentava due caratteristiche originali e mai viste prima nelle serie TV.
La prima riguardava i “macgyverismi”, ovvero l’uso di oggetti comuni che, combinati o modificati in un certo modo, toglievano sempre dai guai il nostro eroe; la seconda caratteristica, invece, era rappresentata dall’odio di MacGyver nei confronti di tutte le armi da fuoco. Due caratteristiche chiave nel successo della serie. I macgyverismi rappresentavano l’idea originale della serie e sono entrati ormai nel gergo comune ogni volta che qualcuno aggiusta qualcosa utilizzando oggetti banali e di uso quotidiano come delle graffette, degli elastici o dei chewing gum. Mentre il rifiuto di usare pistole e mitra rappresentava la scelta coraggiosa dell’intera idea dietro a MacGyver, soprattutto se si pensa che nel 1985 eravamo in piena era repubblicana con Ronald Regan e che le armi e il testosterone facevano da padroni sia al cinema che alla TV. E la serie invece funzionò per ben sette stagioni e 139 episodi. Ma, oltre ai macgyverismi e al pacifismo, il motore trainante era, ovviamente, lo stesso Richard Dean Anderson. Non fu, infatti, Anderson a diventare MacGyver, quanto il contrario. Perché all’inizio della serie gli sceneggiatori non avevano ancora bene in mente chi fosse MacGyver e, nel primo episodio del 1985, si vedeva MacGyver usare ancora dei mitra per liberare un ostaggio. Fu lo stesso Anderson a proporre la soluzione pacifista contro le armi, scelta che contribuì notevolmente a trovare strade alternative come quella dei macgyverismi. E fu sempre Anderson a vestire MacGyver, perché infatti buona parte dei vestiti di MacGyver (come la famosa giacca in pelle) appartenevano ad Anderson nella vita reale. Anche MacGyver, come il Magnum P.I. di Tom Selleck o il Michael Knight di David Hasselhoff in Supercar, era un eterno scapolo, spesso circondato da bellezze passeggere, ma mai seriamente impegnato in relazioni sentimentali (per evitare gelosie da parte delle fan che minacciavano sempre di non seguire più la serie…).
E veniamo quindi al reboot, a questo nuovo MacGyver in chiave moderna, il cui produttore, curiosamente, è lo stesso di allora: Fonzie. Mentre nei panni del protagonista troviamo il giovane Lucas Till.
La carta dell’originalità se la giocano subito abbastanza male, presentando macgyverismi già visti varie volte nella serie del 1985 e che comunque sono abbastanza semplici, banali, troppo da “piccolo chimico” per intenderci. L’unica differenza sta nelle scritte dei vari ingredienti che appaiono sullo schermo nei pressi dell’oggetto in questione. Ma il problema è che i macgyverismi stessi non sono più una novità, sono un’idea vecchia di trent’anni. Nanche l’odio verso le armi, qui appena accennato, funziona. Perché se negli anni ottanta aveva il suo perché, nel frattempo il mondo è cambiato e, se da un lato i guerrafondai ci sono sempre, dall’altro ci siamo anche abituai ai pacifisti onnipresenti. Quindi il fatto che MacGyver “2016” odi le armi, non è più così interessante. I produttori, forse consapevoli di questi rischi, hanno provato a strizzare l’occhio alla serie originale mantenendo quasi tutti i nomi dei personaggi della prima serie, cambiandone però l’età, la personalità e, in alcuni casi, anche il sesso. Ad esempio l’indimenticabile capo e amico di MacGyver, Peter Thornton (interpretato dallo scomparso Dana Elcar), qui diventa Patricia Thornton (interpretata da Sandrine Holt). L’amico goffo e combinaguai Jack Dalton (al tempo Bruce McGill) mantiene il sesso e il nome ma cambia il fisico con quello più muscoloso e militarizzato dell’attore George Eads. Ci sono anche dettagli in stile “easter egg” che strappano qualche sorriso nostalgico ma che sembrano anche generare una certa comicità involontaria (vedi foto con missile). Hanno allora provato a ringiovanire i personaggi aumentandone la sensualità, i muscoli e le scene d’azione, dimenticando però che là fuori ci sono serie di una tale qualità che o uno decide di spendere e investire, oppure rischia di cadere nel ridicolo. Negli anni ottanta i mezzi erano quelli che erano, ma erano tutti analogici e quindi le esplosioni erano tutte vere. Nel 2016 si possono scegliere o le esplosioni vere (e anche molto migliori rispetto a tre decenni fa) oppure quelle digitali che sembrano vere. E invece in questo nuovo MacGyver le esplosioni sono sì digitali ma molto, troppo low cost. Così come le location, i vestiti, i computer e le scene d’azione fatte malamente al green screen o montante in modo maldestro. Sembra di assistere ad una serie degli anni novanta, confezionata in fretta e senza troppa convinzione. Dall’inizio degli anni duemila le serie si sono avvicinate sempre più alla qualità cinematografica, rubando al grande schermo anche star di serie A. Forse un volto noto avrebbe potuto aiutare un po’ questo reboot di MacGyver, ma era comunque difficile da immaginare un attore famoso in una serie già nota in passato. L’unico che avrebbe potuto fare la differenza era proprio Richard Dean Anderson che, se avesse partecipato in qualche modo alla produzione, avrebbe attratto tutti i fan fedeli alla serie a guardare almeno qualche episodio. E sono proprio i fan fedeli alla serie originale il motivo per cui Anderson ha rifiutato ogni coinvolgimento. Interpellato dalla produzione su una possibile collaborazione al nuovo MacGyver, come attore o come produttore, Anderson ha risposto così:
“[…] e molti mi hanno chiesto se avrei preso parte alla serie, o se l’avrei prodotta etc. Tutto quello che posso dire è che non ho intenzione di prendere parte ad un progetto che ha ignorato i fan fedeli al personaggio originale e che ha proseguito per la sua strada senza considerare come e perché sono diventati e sono rimasti dei fan fedeli… Sì, mi è stato chiesto, ma no, non prenderò parte al reboot di MacGyver. Devo ammettere che bisogna trovare il giusto equilibrio qui. Di conseguenza, la mia fedeltà (va) ai miei fans.”
(da un post del 25 luglio 2016 di Richard Dean Anderson sul sito rdanderson.com).
Penso sia importante aggiungere e ricordare che in Italia il successo del MacGyver originale era in buona parte anche dovuto all’eccellente lavoro di doppiaggio della sua storica voce, ovvero quella di Saverio Moriones, premio Miglior Voce Maschile 2008.
La nuova serie troverà comunque un suo pubblico tra i più giovani, ma ha tutte le carte in regola per finire presto nel dimenticatoio come, ahimé, l’ennesimo tentativo fallito di sfruttare un brand oltre ogni tempo massimo.
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