Lo scorso 22 dicembre Netflix ha rilasciato finalmente sul proprio catalogo Bright, la mega-produzione da 90 milioni diretta da David Ayer, ed interpretata da Will Smith e Joel Edgerton. Questa è la nostra recensione.
Ambientato in una sorta di dimensione parallela, dove gli umani vivono in compagnia di elfi, orchi, fatine e draghi, Bright mette in scena una storia di fantasy, dove un umano ed un orco si ritrovano immischiati in un caso che cambierà per sempre la loro vita.
Il primo blockbuster targato Netflix è approdato in rete, ed ovviamente come spesso accade, l’attesa genera aspettative. Dal valore del budget al nome del regista, senza dimenticare i nomi del cast ed il tema affrontato, i punti di interesse di questo titolo non erano di certo pochi. Ma Bright ha davvero messo tutti d’accordo?
Ad una prima occhiata il film di Ayer può sembrare una novità cinematografica interessante, ma col passare dei minuti ci si rende conto di trovarsi dinanzi un prodotto per nulla originale, e tra l’altro non privo di grossolani errori. Dimenticate il realismo di End of Watch, qui Ayer omaggia un modo di fare cinema estremamente commerciale, lasciando spazio a spettacolo, magia e battute, talvolta abbastanza inutili.
La sceneggiatura soffre la presenza di terrificanti voragini narrative, il racconto degli eventi non si presenta lineare, ed il background storico di questa realtà parallela non assume mai l’importanza che merita. I personaggi continuamente fanno riferimento al passato comune tra Orchi, Umani ed Elfi, come se Ayer e Max Landis (lo sceneggiatore) dessero per scontato che lo spettatore conoscesse alla perfezione gli eventi passati.
Ma se la sceneggiatura non soddisfa, la regia anonima di David Ayer non è da meno. A tratti sembra di rivedere, in salsa fantasy, il lavoro svolto con End of Watch, con la sola differenza che il realismo qui latita, e la continua ricerca dell’ironia da parte dei protagonisti rappresenta una forzatura evitabile. Nel film il regista affronta il difficile tema della discriminazione razziale (qui tra umani ed orchi),e forse una delle poche note positive rappresenta proprio il modo con cui Ayer descrive certe dinamiche sociali, purtroppo presenti anche in un contesto lavorativo come quello poliziesco.
Esteticamente Bright si fa apprezzare, ma forse con 90 milioni di budget si poteva sperare in qualcosa di maggior qualità. Il lavoro di make-up svolto sull’aspetto di Joel Edgerton (l’orco protagonista) è ottima fattura, non sarebbe pertanto uno scandalo se l’Academy ne dovesse riconoscere i pregi con un Oscar.
L’ultimo atto della nostra recensione riguarda il lavoro svolto dal cast. Will Smith di certo non è alla sua migliore interpretazione; la recitazione dell’attore sembra approssimativa e lontana dagli standard a cui siamo abituati. Lo stesso discorso vale per Edgar Ramirez e Noomi Rapace. Un lavoro eccelso, a nostro modesto parere, è invece svolto nel film da Joel Edgerton, bravo a focalizzarsi su emozioni contrastanti come l’emarginazione sociale, la volontà di dimostrare il proprio valore e l’altruismo.
In conclusione non possiamo che bocciare la prima enorme produzione targata Netflix. Il fantasy Bright ha dimostrato un potenziale straordinario, ma lo ha sprecato a causa della pesante commercializzazione del prodotto finito. In casa Netflix si parla già di sequel, sarà davvero così soddisfatto il colosso dello streaming?
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