Dracula è la mini-serie disponibile su Netflix dal 4 gennaio 2020 e che ha esordito il 1° gennaio, in anteprima mondiale, sul canale televisivo inglese BBC One. Ecco la recensione.
La serie è composta da sole tre puntate della durata di circa un’ora e mezza ciascuna. Gli autori, Mark Gatiss e Steven Moffat, sono ben noti al pubblico inglese ed internazionale grazie al successo ottenuto con la serie Sherlock, e per la direzione di alcune puntate di Doctor Who. Proprio come in Sherlock l’obiettivo è quello di proporre una reinterpretazione di un classico della letteratura britannica.
COMMENTO
La struttura tripartita rispecchia e supporta i vari livelli di innovazione del personaggio e della vicenda. Si parte infatti dalla maggiore fedeltà alla trama originale della prima puntata fino ad arrivare, gradualmente, alla riscrittura completa dei caratteri di fondo e delle dinamiche della storia originale scritta da Bram Stoker.
Dall’esperienza di Jonathan Harker (John Heffernan) della prima puntata si passa al viaggio verso l’Inghilterra del conte fino ad arrivare all’attualizzazione della storia che vede Dracula, addormentato in fondo al mare per 120 anni, emergere nella contemporaneità e confrontarsi con una società radicalmente mutata nei costumi, nella tecnologia, nello stile di vita e nei valori. Non è difficile leggere nell’adozione del punto di vista di Dracula, nel suo straniamento, un tentativo di analisi critica del nostro tempo da parte della regia.
Il Dracula (Claes Bang) presentato da Gatis e Moffat è un personaggio intrigante, arguto, dotato di sottile ironia che trova nella sua antagonista, suora Agatha (Dolly Wells), una degna rivale in quanto ad intuito, tenacia e complessità. L’interpretazione di Bang è sorprendente, non orfana di ispirazione ai magistrali esempi di Bela Logusi e Christopher Lee. Non irresistibile la performance di Dolly Wells forse non agevolata dalla limitata espressività di suor Agatha prima e della sua discendente poi.
La vicenda in fondo è innestata proprio sulla dualità costituita dai personaggi principali che, per spessore psicologico e caratterizzazione, superano nettamene le altre figure presenti nella narrazione.
I dialoghi tra i due sono sempre improntati ad una vena di sarcasmo che spesso si fa sin troppo insistente arrivando forse a limiti troppo estremi. D’altro canto il taglio brillante delle conversazioni è un marchio di fabbrica dei due registi.
Il ritmo della narrazione assolve efficacemente alla costante attrazione dello spettatore. La tecnica del flashback adoperata soprattutto nelle prime due puntate ben si attaglia all’alternanza delle sequenze descrittive e progressive. Un discorso a parte merita la terza puntata in cui l’ambientazione e lo sviluppo della vicenda portano ad una diversa impostazione espositiva.
Non è facile ascrivere questa serie ad un genere ben preciso, essa, infatti, si muove tra le formule dell’horror gotico e del thriller psicologico, con l’aggiunta di qualche elemento splatter che sottolinea l’introduzione di effetti speciali a volte non gradevolissimi.
Insomma, la reinterpretazione di Dracula, così come quella del finale della storia e di alcuni suoi caratteri fondamentali da parte di Gatiss e Moffat ha il suo fascino, i suoi punti di merito e demerito. Sta alla sensibilità dello spettatore giudicare in modo più o meno positivo un’offerta che in sé ha una sua coerenza ed efficacia.
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