La recensione di Favolacce, il film diretto dai fratelli D’Innocenzo, disponibile in versione noleggio sulle migliori piattaforme digitali.
Una Spinaceto come la vedrebbe Yorgos Lanthimos. Invece, a vederla così sono i fratelli D’Innocenzo, nella loro opera seconda ‘Favolacce’ (sebbene la sceneggiatura sia antecedente a La terra dell’abbastanza).
Uscito ancora in emergenza Coronavirus, con i cinema chiusi e il pubblico ormai stanco di impastare torte allo zenzero e simulare interesse per la situazione dei lavoratori nelle aziende petrolifere del Sudan, le case di distribuzione hanno dovuto ripiegare sullo streaming.
Si è fatto di necessità virtù e così, complice anche la celebrazione dei Nastri d’Argento e degli ottimi social media managers, Favolacce è il film del momento.
Questo è un film che non si lascia ammaliare da storie straordinarie, cerca il marciume nell’ordinario sadismo dei padri, nella rassegnazione passiva delle madri e racconta improbabili vie di fuga dei figli dal reazionario. Quando però, per forza di cose, ogni tentativo di evasione è limitato ad una soddisfazione passeggera, la degenerazione in qualcosa di più grande è ad un tiro di schioppo.
La voce narrante adulta funge da contraltare alle vicende dei bambini, costringendo le loro caviglie a terra, in nome di un istinto di sopravvivenza che piuttosto li accompagna per mano ad un punto di non ritorno.
Elio Germano è di un altro livello in un cast costellato di giovani promesse, ma ogni personaggio è ben incastrato (ed interpretato) in un puzzle i cui tasselli appaiono così diversi per poi rivelarsi così uguali. La fogna scorre sotto tutti i quartieri.
‘Spinaceto pensavo peggio’. Me sa che te sbagliavi, Nanni.
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