[Recensione] Manhunt: Unabomber, su Netflix arriva il killer dei pacchi postali
Manhunt: Unabomber è una miniserie psycho-crime disponibile sullo sterminato catalogo Netflix. Questa è la nostra recensione della prima stagione.
Gli otto episodi raccontano le vicende reali della cattura del serial killer Unabomber, famoso per i letali pacchi postali esplosivi che hanno terrorizzato l’America per oltre vent’anni. Il cast di questa serie prodotta da Discovery Channel è di primissimo livello, con attori quali Sam Worthington e Paul Bettany. Ecco la nostra recensione.
TRAMA
1995: da più di quindici anni il famigerato Unabomber continua a terrorizzare gli Stati Uniti con i suoi micidiali pacchi bomba. L’intera FBI gli dà la caccia senza risultati fino a quando l’agente capo Ackerman decide di ingaggiare nel team una giovane recluta, Jim Fitzgerald. Fitz, così lo chiamano gli amici, è un profiler, cioè trova i criminali ricostruendo un profilo dai loro scritti, i luoghi in cui vivono, le abitudini etc. Dopo l’iniziale scetticismo del dipartimento, Fitzgerald riuscirà a dimostrare che il vero Unabomber è totalmente diverso da quello che pensava l’FBI.
LA RECENSIONE
Manhunt: Unabomber si inserisce chiaramente nel solco di altre recenti serie crime tratte da storie vere come Il caso OJ o L’assassinio di Gianni Versace. Questa formula di “real crime” sta riscuotendo molti successi sia in termini di pubblico che di critica. La spiegazione è semplice: sapere che, più o meno, ciò che si sta vedendo è realmente accaduto, aumenta l’adrenalina e il coinvolgimento dello spettatore.
Altra caratteristica di questo tipo di serie è l’alto livello di introspezione psicologia dei personaggi e in questo aspetto Manhunt: Unabomber è un capolavoro. I due personaggi principali, l’agente Jim Fitzgerald (Sam Worthington) e il serial killer Ted Kaczynski (Paul Bettany), sono profondi, interessanti e mai banali.
La storia di questo giovane agente dell’FBI, la cui personalità viene letteralmente stravolta dall’ossessione per la cattura di Unabomber, è veramente riuscitissima. Inoltre, tramite l’agente, il pubblico viene a conoscenza di questa interessante tattica investigativa, basata proprio sulla ricostruzione della personalità di killer tramite qualsiasi tipo di indizio, anche quello apparentemente più insignificante.
Anche l’interpretazione che Paul Bettany dà di, Unabomber, il serial killer con un dottorato di ricerca e un quoziente intellettivo da premio nobel, è sensazionale. Attraverso la storia personale di Unabomber lo spettatore viene immerso in nell’America del perbenismo, dell’esclusione sociale e della Guerra Fredda. Molto bene anche tutto il “supporting cast”, che contribuisce ad una immersione ancora più profonda in questa caccia all’uomo.
Infine un plauso alla scenografia, veramente convincente. Il clima e l’atmosfera della metà degli Anni Novanta sono stati ricreati alla perfezione. Le auto, le giacche larghe, i pantaloni sopra la vita, le tonnellate e tonnellate di carta e scartoffie negli uffici dell’FBI, i cercapersone, i cellulari con le antenne, i monitor a tubo catodico; tutto profuma di quell’epoca. C’è un’attenzione quasi maniacale al dettaglio che è solo uno dei tanti motivi per i quali, se piace il genere, questa miniserie è un must assoluto.
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