Recensione Mute, lo sci-fi Netflix diretto da Duncan Jones
Ieri sera abbiamo visto – via Netflix – l’ultimo lavoro dal sapore fantascientifico del regista Duncan Jones dal titolo Mute. Questa è la nostra recensione.
Il film racconta le vicende – nella Berlino della seconda metà del 21° secolo – di Leo Beiler (Alexander Skarsgård) alla ricerca della fidanzata Naadirah (Seyneb Saleh) misteriosamente scomparsa dopo una notte passata insieme.
Leo è un barman amish rimasto muto per un incidente occorso in mare quando era bambino. La madre, osservante, non ha permesso che fosse operato per poter tentare di recuperare la voce perduta. Leo cresce – in un mondo ipertecnologico – restando fedele al proprio stile di vita semplice e “old style”. Non possiede un cellulare, non utilizza mezzi di locomozione e non guarda la televisione. Questo è già particolare ai nostri giorni, immaginiamoci come possa essere visto nella Berlino del futuro, per di più se sei muto.
Il film è, secondo il regista, un seguito spirituale di quel capolavoro che è stato Moon (2009) ed è un omaggio al padre, il compianto David Bowie. Le aspettative erano alte, visto anche i successi precedenti di Jones, ma purtroppo sono state in gran parte deluse. La pellicola è forse un po’ troppo visionaria e si è dato molto risalto alle ambientazioni e poco alla sostanza della storia.
Tante le ispirazioni e le contaminazioni: Blade Runner è il film di riferimento. Le atmosfere vogliono essere, infatti, quelle del capolavoro di Ridley Scott, ma si scade spesso in rivisitazioni grottesche del primo Total Recall (Atto di Forza). I taxi, nati dall’evoluzione delle Renault Twizy, strizzano l’occhio all’idea della Citroen DS volante del secondo capitolo di Ritorno al Futuro.
La storia viaggia in parallelo tra le vicende del barman e quella di due dottori americani, Cactus interpretato da Paul Rudd (Ant-Man, Nudi e Felici) e Duck, interpretato da Justin Theroux (Nudi e Felici, Mulholland Drive), questi ultimi sono quelli che con le loro vicende e la loro interpretazione riescono a risollevare – in parte – le sorti del film.
Buone alcune visioni del futuro, come i droni per le consegne Take Away dei ristoranti o i sistemi di telefonia integrati negli elettrodomestici. Tutto sommato l’idea di base sarebbe buona e determinati colpi di scena sono validi, ma il film risulta lento, con poco ritmo e poco accattivante. Un’occasione persa e di questo ce ne rammarichiamo. Speriamo che Duncan Jones ritrovi presto la sua verve creativa e torni a stupirci con idee valide, come fatto in precedenza.
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