Dopo il debutto alla regia con LadyBird, Greta Gerwig si cimenta con una narrazione intramontabile come “Piccole Donne”; vi presentiamo in anteprima la nostra recensione.
Dal 1868 ad oggi, Piccole Donne di Louise May Alcott ha vissuto nuove ed altre vite tra adattamenti cinematografici e televisivi, tra i più memorabili ricordiamo Piccole Donne, con Katherine Hepburn (1933) e Winona Ryder (1994), entrambe nei panni della vulcanica Jo March.
Il Piccole Donne firmato da Greta Gerwig é un adattamento maturo delle vicende delle sorelle March.
Quattro sorelle profondamente diverse ma unite da un legame indissolubile, così forte da renderle una squadra vincente per supportare Marmee (Laura Dern) rimasta sola a badare alle figlie in assenza del marito occupato in battaglia. Meg, interpretata da Emma Watson, è la sorella maggiore, integerrima nel coronare il suo sogno di realizzare una famiglia così come i canoni dell’epoca richiedono; l’interpretazione della Watson non ci regala chissà quale Meg, ne rimaniamo profondamente delusi. Dal rapporto tra Meg e Jo, ci aspettavamo molto. Chissà se Emma Stone, precedentemente scelta, avrebbe saputo fare di meglio.
Saoirse Ronan é Jo, Florence Pugh é Amy: sottilmente (e non) rivali nella vita così come nell’amore. Se Jo é concentrata sul suo lavoro, Amy prende il suo posto come accompagnatrice della zia March (Meryl Streep) e, avendo realizzato con lucidità di non aver doti artistiche, si concentra sul suo happy ending.
Un’abilità di Greta Gerwig é stata quella di saper affidare i ruoli “minori” ad attori che in poche scene hanno saputo bucare lo schermo, come Eliza Scanlen nelle vesti della piccola e sensibile Beth.
Le donne March, nel corso della loro vita, hanno sempre dimostrato di non aver bisogno di un uomo per sopravvivere ma la felicità a volte si raggiunge con un incontro, con la realizzazione dell’amore. Succede quando ritorna a casa il signor March, quando Meg si innamora di John Brooke (James Norton), e quando Laurie (Timothée Chamalet) superata la ferita inferta da Jo capisce di poter esser felice con chi guarda nella sua stessa direzione come Amy. Louis Garrel è Friederich Bhaer, l’unico in grado a far capitolare Jo, senza farle perdere la sua essenza indipendente.
Sin dalle prime scene Greta Gerwig mette in chiaro che il suo adattamento è diverso, imponendoci una linea narrativa discontinua rispetto al romanzo e alle precedenti versioni cinematografiche. Lo spettatore si sentirà travolto da questi salti temporali, a tratti confuso, come le giravolte durante un balletto in cui le gonne volteggiano all’infinito tra scambi di coppia.
Piccole donne si conferma un manifesto femminista, dove i desideri e le paure di un gruppo di donne sono messi a nudo per far posto ai propri pensieri, liberi. Pur essendo la trama conosciuta alla maggiorparte del pubblico, la regista riesce a rendere personale la narrazione, soffermandosi in particolare su alcuni snodi narrativi, proteggendoli attraverso una cura estrema dell’estetica dell’immagine. Il rifiuto di Jo colpisce e affonda, l’innamoramento di Meg, il Natale (allargato) della famiglia March, i capricci di Amy, la morte di Beth: persino i lettori più affezionati, non si sentiranno traditi.
Seppur esteticamente diversa dalla Jo del romanzo, Saorsie Ronan è una Jo convincente, all’altezza del ruolo che interpreta, così come la giovane Florence Pugh che non vediamo l’ora di vederla in Black Window. Zia March è Meryl Streep, scorbutica, intramontabile nelle sue pungenti affermazioni.
“Piccole Donne“ di Greta Gerwig uscirà nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 9 gennaio 2020, distribuito da Warner Bros Italia.
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