In questo articolo vi presentiamo la nostra recensione di Train to Busan (Busanhaeng), lo zombie movie coreano diretto da Sang-ho Yeon, esaltato tra l’altro dalla critica internazionale per la qualità espressa nonostante non faccia parte della immensa fabbrica hollywoodiana.
Negli ultimi 30 anni il cinema coreano ha dimostrato più volte di essere tra quelli più ricchi di idee nel panorama internazionale; autori come Kim ki-duk e Park Chan-wook, ma potremmo citarne anche altri, sono riusciti ad imporsi come registi di culto, ma soprattutto riescono a coniugare la loro personalissima coerenza stilistica con idee in continuo divenire.
Sono tantissime le pellicole sudcoreane che purtroppo non trovano spazio nelle trame della distribuzione nostrana, nonostante il successo che i suddetti film ottengono in patria. Presentato al festival di Cannes nel 2016, “Train To Busan” è un film di zombie (attenzione: non SUGLI Zombie), diretto da Yeon Sang-ho, specialista nelle pellicole d’animazione, qui al suo esordio alla regia di un live action.
La pellicola racconta la storia di un uomo d’affari che, divorziato e impegnato sempre con il lavoro, promette alla figlia di accompagnarla per il giorno del suo compleanno a Busan, dalla madre. Durante il viaggio in treno però Seok-woo e la sua bambina saranno costrette a lottare, insieme ad altre persone, per la propria vita, messa a rischio da un’infezione dilagante che trasforma le persone in fameliche creature dagli occhi bianchi.
Di produzioni audiovisive a tematica zombie ne abbiamo fin sopra ai capelli e sembra che l’argomento sia stato spremuto al punto da rendere impossibile cavare qualcosa di originale che possa essere messo su pellicola a riguardo. “Train to Busan” ci ricorda, però, che i morti viventi possono fungere da mezzo per parlare di altro. Se Romero, nel ’68, con “La notte dei morti viventi”, aveva usato gli stessi per presentarci un’apologia sulla società americana, nel 2016 Yeon Sang-ho, con “Train To Busan”, usa gli zombie per parlarci di egoismo, di amore, della difficile convivenza tra individualismo e umanità nella contemporaneità.
La pellicola, che è un perfetto esempio di come la trama possa essere solo una scusa per parlare di altro, si fa carico di essere romanzo epico. Se lo spettatore si trova ad essere inquietato, elettrizzato, inorridito, emozionato e commosso gran parte del merito va alla sceneggiatura che riesce ad approfondire la psicologia dei personaggi, rendendoli ricchi di umanità, in negativo e in positivo. È straordinario come in un film in cui le dosi di violenza sono così elevate ad inorridire e sconvolgere di più non sia la truculenza ma l’individualismo e la non umanità che emerge in alcuni personaggi. Non c’è solo quello però, c’è anche il senso di comunità, il sacrificio come espiazione, c’è l’amore e c’è la speranza.
Fin dalle prime sequenze il film conquista anche attraverso la funzionalità di regia, fotografia e montaggio, elementi messi al servizio della narrazione che contribuiscono alla creazione di un’opera che in patria ha ottenuto un notevolissimo successo di pubblico, ma anche di critica, ricevendo diverse nomination e vincendo premi alle più importanti manifestazioni cinematografiche coreane.
Non possiamo che augurarci che film come questo riescano a trovare i giusti canali di distribuzione anche in Italia vista e considerata la grande capacità del cinema estremorientale moderno di coniugare elementi da blockbuster con caratteristiche del cinema d’autore. Connubio sempre più raro, e quindi prezioso, per il cinema.
Il Verdetto 8.5
The Chosen
Regista: Dallas Jenkins
Data di creazione: 2023-10-28 10:46
4
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