[Recensione] Truman – Un Vero Amico è per Sempre, il film diretto da Cesc Gay
Si dice in giro che ormai non esistono più storie originali da raccontare, ma solo storie da raccontare in modo originale. Ecco, allora, che la differenza la fanno i dettagli, lo stile, gli attori…
Dico questo perché mi è capitato di recente di vedere lo spagnolo Truman – Un Vero Amico È per Sempre (2015) di Cesc Gay e, se mi fossi limitato a giudicare il film dalla trama senza guardarlo, mi sarei perso un piccolo grande capolavoro.
Truman racconta la storia di Tomás (Javier Cámara) che dal Canada, dove vive, torna a Madrid per passare qualche giorno con Julián (Ricardo Darín), l’amico di tutta la vita. Il motivo della piacevole visita non è in realtà così piacevole: a Julián, malato di tumore, non resta molto da vivere. Truman è il nome del cane al quale Julián sta cercando una nuova casa e dei nuovi padroni che se ne prendano cura.
Già da queste poche righe possiamo trovare alcuni richiami a film come Anonimo Veneziano (Enrico Maria Salerno, 1970) o Io & Marley (David Frankel, 2008), solo per citarne due, ma in nessun momento si ha la sensazione di trovarsi davanti a una minestra riscaldata. Il cane, che normalmente servirebbe a provocare fiumi di lacrime ai più sensibili, oltre a dare il titolo al film serve in realtà solo da dinamo per tenere il film in movimento e portare i due protagonisti di scena in scena a spasso per la sempre bella Madrid. Seppur sempre presente, Truman lo si vede poco e non è mai protagonista. Il protagonista non è neppure il tumore anche se, come spada di Damocle, non ci abbandona mai. No, la vera protagonista e l’amicizia tra Tomás e Julián e il realismo ricreato sullo schermo.
In film come questi il tombino del patetico e delle banalità è sempre aperto in attesa che i passanti ci caschino dentro, ma Cesc Gay è più furbo e non permette che questo succeda. E ad aiutarlo è l’argentino Ricardo Darín in una delle sue migliori interpretazioni. Il suo Julián accetta con una rassegnazione fredda e coraggiosa la sua condizione e affronta con saggezza e determinazione le conseguenze che la sua dipartita causerà, dal salutare gli amici a trovare, appunto, una nuova casa per Truman. E infatti, diversamente da quanto normalmente siamo abituati a vedere al cinema, le scene più struggenti non sono quelle del dottore che descrive la gravità della situazione o il rifiuto di Julián a continuare le cure, e neppure il finale che qui non svelerò, ma la sua serenità e la sua pacatezza quando va a prenotarsi il proprio funerale scegliendo ogni dettaglio, dalla sepoltura alla forma dell’urna, quasi stesse scegliendo un nuovo paio di scarpe, oppure quando va dal veterinario a chiedere consiglio su come comportarsi con Truman e come reagiscono i cani quando i padroni se ne vanno. Un ulteriore rischio di caduta lo abbiamo quando i due improvvisano un viaggio in giornata ad Amsterdam per andare a trovare suo figlio Nico (Oriol Pla) che studia all’università. La domanda è: dire al figlio della propria condizione o no?
L’incontro si risolverà nell’unico modo possibile, anche questo reso realistico e non banale grazie alle grandi doti attoriali e narrative dei protagonisti. Un ultimo rischio di patetismo lo abbiamo quando Julián confida in tutta tranquillità agli amici Tomás e Paula (Dolores Fonzi) che non intende aspettare il gran finale ma farla finita prima. Se a queste parole Tomás risponde con frasi di circostanza che tutti ci aspettiamo, Paula rompe l’imbarazzo attaccando Julián e chiedendogli il perché di quelle affermazioni. Perché in quel momento. Perché dirlo prima invece di farlo e basta. Perché rendere partecipi gli amici e dar loro ulteriore dolore. E questa è la prova che, sebbene il tema trattato porti a provare pietà e le occasioni siano tante, il film fa di tutto per non permettercelo.
C’è un’unica scena di sesso in tutto il film e avviene verso la fine tra Tomás (che comunque è sposato in Canada) e Paula, l’amica più che amica di Julián. Ecco, qualcuno ha commentato che quella scena è inutile, superflua, non in linea con il film e inserita unicamente perché la regola vuole che in un film ci sia sempre del sesso. Ma le cose, ovviamente, non stanno così. Quel sesso sfogato con rabbia descrive, meglio di ogni parola, il vero dolore dei due amici, vittime e compagni di sventura davanti alla prossima morte del loro amico più caro. E, per quanto a tanti possa sembrare poco probabile, è in realtà molto reale come reazione. Tanto che, la mattina dopo, quando Julián li vede uscire assieme dal hotel, sorride e si limita a un semplice: “ha senso”.
Il nostro punto di vista come spettatori è quello di Tomás. Lo accompagniamo dalla sua partenza dal Canada fino alla fine del film. E come noi spettatori, anche Tomás sembra assistere all’intera situazione da esterno, incapace di intervenire, impacciato nel parlare e impossibilitato a cambiare le cose.
Javier Cámara e Ricardo Darín sono un binomio perfetto, al punto che questa è la loro seconda collaborazione con Cesc Gay dopo Una Pistola en Cada Mano (2012), mai distribuito in Italia. In lingua originale le loro differenze sono maggiormente marcate dall’accento castigliano di Cámara in netto contrasto con l’inconfondibile argentino di Darín. I dialoghi raggiungono un realismo invidiabile.
Film come questi, lontani dalla Hollywood di questi anni, privi di effetti speciali, con budget limitati (Truman è costato meno di quattro milioni di euro) ma con tanta qualità, ridanno fiducia a un’industria che, piuttosto di essere in crisi, sembra vagare alla ceca e senza meta.
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