Regista poco incline allo show business e animato da una verve polemica che lo ha contraddistinto per tutta la sua vita, Giuseppe Ferrara era un regista che non scendeva a compromessi, portando avanti un’idea di cinema che andasse a toccare i nervi scoperti della nostra storia e della nostra società; si è spento nella giornata di ieri a Milano all’età di 83 anni per un arresto cardiaco.
Nato in provincia di Firenze nel 1932, Ferrara già durante gli studi si distingue per la vena polemica e contestatrice. Laureatosi con Roberto Longhi, Ferrara inizia a girare dei cortometraggi e dei documentari realizzandone, fino agli anni Sessanta, circa ottanta, in cui spazia dalla Prima Guerra Mondiale (Brigata partigiana, 1962) alla mafia in Le streghe di Pachino (1965). L’esordio nel lungometraggio avviene con un docu-film, Il sasso in bocca, col quale il regista torna a parlare del problema della mafia e sui rapporti tra la mafia siciliana e quella americana, senza dimenticare di trattare anche il caso Mattei.
La mafia torna a essere protagonista più avanti nella carriera di Ferrara tanto da realizzare nel 1984 il film Cento giorni a Palermo, in cui Lino Ventura si cala nei panni del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato nel 1982. Due anni dopo è il turno di Il caso Moro, in cui il celebre statista assassinato dalle Brigate Rosse è interpretato da Gian Maria Volontè: il film ripercorre i 55 giorni di prigionia di Moro (sullo stesso tema sarebbe poi tornato Marco Bellocchio con Buongiorno, notte).
Nel 1993 realizza Giovanni Falcone, interpretato da Michele Placido e realizzato a neanche un anno di distanza dalla morte del giudice, ma è con I banchieri di Dio (2002) che Ferrara si scontra con le polemiche. Il film riguarda lo scandalo del Banco Ambrosiano e si concentra sulla figura di Roberto Calvi (interpretato da Omero Antonutti), in cui nell’intreccio prende parte anche la loggia P2, la Banda della Magliana, il Vaticano e i servizi segreti. Il film viene osteggiato dai più, e Ferrara impiega diversi anni per portarlo a termine (Ferrara avrebbe voluto girarlo subito dopo Il caso Moro).
Il suo ultimo lungometraggio risale al 2005 (uscito però due anni dopo) con Guido che sfidò le Brigate Rosse, con Massimo Ghini, Anna Galiena e Gianmarco Tognazzi. Fino alla fine, Ferrara ha trattato temi scomodi, animato sempre da una volontà di ferro nel voler portare alla luce i segreti e gli intrighi del potere in Italia; un cinema civile, politico, coraggioso e impegnato che, da oggi, mancherà nel nostro panorama culturale.
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