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Star Trek: Picard, recensione dell’episodio tre della seconda stagione

E’ disponibile da oggi su Prime Video il terzo episodio della seconda stagione di Star Trek: Picard. Il titolo, più che mai evocativo, è “Assimilazione”, termine che non necessita di alcuna spiegazione per tutti gli appassionati di Star Trek. Ecco cosa ne pensa un vecchio trekkie nostalgico.

ATTENZIONE: PUO’ CONTENERE SPOILER

L’anziano ammiraglio Jean Luc Picard prosegue la sua avventura, cominciata nell’episodio precedente, alla ricerca di colui che possa risolvere la distorsione temporale che ha totalmente alterato gli equilibri del suo tempo. Così, insieme al capitano Rios, Sette di Nove, la dottoressa Jurati e, soprattutto, la regina Borg, torna indietro nel passato: Los Angeles, 2024, prima della famosa Terza guerra mondiale che funge da incipit narrativo per tutto il franchise di Star Trek.

Quando infatti, oltre cinquant’anni fa, Gene Roddenberry diede vita a questo capolavoro dell’intrattenimento mondiale, l’ex veterano della Seconda guerra mondiale immaginò che la grande esplorazione spaziale da parte dell’umanità fosse arrivata solo dopo l’abisso rappresentato da una guerra nucleare che aveva quasi spazzato via l’intera popolazione del pianeta. Tema esplorato anche nel primo, storico episodio di Star Trek: The Next Generation, intitolato Encounter at Farpoint, nel quale proprio Q (John De Lancie) mette a processo Picard e l’equipaggio dell’Enterprise in quanto umani e, a suo giudizio, portatori di distruzione nella galassia.

Non è un caso ma, anzi, è un merito il fatto che gli sceneggiatori abbiamo preso uno spunto così di nicchia e abbiamo poi deciso di riesplorarlo in questa seconda stagione di Star Trek: Picard che, tra le altre cose, va in onda in un momento in cui una vera apocalisse nucleare potrebbe essere purtroppo un’ipotesi non più così campata in aria. L’ennesimo segno, questo riferimento al passato, dell’attenzione che la produzione sta mettendo nel riscoprire certi temi e certe atmosfere che sono andate completamente perse dalla sorella gemella di questa serie e cioè: Star Trek: Discovery.

C’è da dire che, prima di atterrare nella Los Angeles del 2024, i nostri protagonisti ci mettono un po’ troppo, nel senso che la primissima parte dell’episodio risulta piuttosto lenta. In generale tutta la struttura di Star Trek: Picard è molto più improntata al dialogo e alla riflessione, piuttosto che all’azione e va benissimo così, anzi: deve essere così. Il fatto però è che quando a tessere le fila dei dialoghi non c’è Picard o pochi altri, molti dei nuovi personaggi fanno veramente fatica. Su tutti, la dottoressa Jurati (Allison Pill), il cui “momento Borg” è distante anni luce dall’età d’oro e, ancor peggio, Raffi (Michelle Hurd), character che per ora non trova nessuna collocazione all’interno della trama.

Va molto meglio quando si parla di del capitano Rios, interpretato dal bravissimo Santiago Cabrera, le cui gesta come finto immigrato latino nella Los Angeles del 2024 funzionano piuttosto bene e ricordano le migliori escursioni terrestri dell’equipaggio dell’Enterprise durante alcuni bellissimi episodi di Star Trek: The Next Generation. Vedremo, all’interno di una trama che forse è la più serializzata nella di questo franchise, con una totale continuità dell’intreccio narrativo tra un episodio e un altro, cosa succederà venerdì prossimo. Per ora, ad un terzo del cammino, dobbiamo dire che il viaggio ci piace abbastanza.



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