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Star Trek: Picard – Recensione della prima stagione

La prima stagione di Star Trek: Picard si è appena conclusa. Dopo oltre vent’anni di assenza, il capitano più amato nella storia del franchise è tornato nello spazio, tra la curiosità di milioni di appassionati in tutto il mondo. Ecco, secondo noi, come è andato il grande ritorno.

Star Trek: Picard, chiariamolo subito, è nato da un grido dolore. La genesi di questa serie è infatti intrinsecamente legata allo sdegno, alla cocente delusione provata dai trekkies dopo la messa in onda del terribile Star Trek: Discovery. E’ solo a seguito di questo fallimento che alcuni audaci scrittori e produttori hanno deciso di tornare a cavalcare le vicende del personaggio forse più significativo nella storia di Star Trek.

E il capitano Jean Luc Picard, nel complesso, non ha deluso. A ottanta anni suonati Patrick Stewart regge ancora il palcoscenico come un leone e regala agli appassionati dei momenti che non potranno non strappare una lacrima. Purtroppo non per colpa sua, ma a causa di una trama principale che lascia spesso a desiderare, il grande capitano sembra a tratti un pò un vecchio rincoglionito, relegato ad un ruolo non consono alla statura del personaggio.

La storia principale, come detto, non convince è ed un vero peccato, perché le premesse erano ottime. L’entusiasmo degli appassionati nel vedere reintrodotte civiltà leggendarie come i Borg e i Romulani, da sempre amatissime dai fan e protagoniste di alcuni degli episodi più belli di tutti i tempi, scema con il passare degli episodi. Infatti già verso metà stagione appare chiaro come la rievocazione di questi elementi mitici per gli appassionati non venga esplorata a sufficienza e finisca per perdersi in una storia piuttosto banale, che conduce ad un vicolo cieco.

Tutto è incentrato sul tema della robotica e dell’automazione. Per carità, ci sta eccome. Star Trek ha sempre proiettato nello spazio i temi del presente e questo lo è certamente, inoltre un topic del genere è perfetto per parlare del vero personaggio chiave di questa serie, il comandante Data, il cui cammeo finale è una delle cose più belle e commoventi mai viste dai tempi delle grandi serie Star Trek Anni Novanta.

Ma il problema è che la trama è troppo dicotomica, divisa tra buoni e cattivi ed eccessivamente politicizzata. E’ una sorta di scontro della politica americana tra Democratici e Repubblicani. Un’esposizione eccessiva che monopolizza tutta la stagione e che poi, improvvisamente, si risolve in modo troppo sbrigativo nella puntata finale, senza lasciare alcuna apparente conseguenza sul futuro della serie (che certamente AVRA’ un futuro).

Non è assolutamente una storia all’altezza di Star Trek e dei suoi appassionati. Un gran peccato, considerando lo sforzo straordinario fatto dagli sceneggiatori nel produrre una serie che, palesemente, strizza molto più l’occhio ai vecchi fan che ai neofiti. I riferimenti ad un passato glorioso, in termini di personaggi, situazioni e citazioni sono continui, rendendo Star Trek: Picard una serie difficilmente comprensibile a chi non è cresciuto con The Next Generation, Picard, Data e Riker.

E a proposito del Comandante Riker (Jonathan Frakes), è bene sottolineare quanto bravi siano stati gli sceneggiatori nel mostrare ai fan tanti personaggi leggendari del passato senza scadere nel ridicolo, senza tarsformare Star Trek: Picard in una noiosa e nostalgica rimpatriata tra attori prossimi alla pensione. Riker, Troi, Data, Sette di Nove ( che ne esce alla grande), vanno e vengono tra un episodio e l’altro, provocano la lacrimuccia all’appassionato e poi, come giusto che sia, lasciano spazio al cast “attuale”.

Un cast che ha deluso. Quasi tutti i nuovi personaggi, (Rios, Jurati, Raffe etc.) non sono un gran che. In questo la legge di Star Trek, la seconda direttiva potremmo ribattezzarla, è implacabile: se un personaggio è trekkiano o meno, lo si capisce in poche scene e molti di questi non lo sono assolutamente. Appartengono più al mondo di Star Trek: Discovery che a quello di Picard.

Non è solo colpa loro, ma anche di come vengono presentati. E’ tutto un po’ troppo sguaiato. Capitani con lo smanicato che giocano a pallone a torso nudo sul ponte, ufficiali alcolizzati con la giacca di Jeans, guerrieri Nippo/Romulani. A tratti si sente molto la mancanza della parte più tradizionale di Star Trek, quella fatta di uniformi, navi stellari, sale macchine, gerarchie, messaggi subspaziali, pianeti di classe M, siluri fotonici etc. Chiunque abbia visto anche solo una puntata di Star Trek: The Next Generation, sa di cosa sto parlando.

Quello che voglio dire per concludere è che, nel complesso, Star Trek: Picard mi ha abbastanza convinto e sono contento che ci sarà un’altra stagione. Però le cose da rivedere sono parecchie e la convinzione a cui sono giunto è che, purtroppo, nel 2020 è quasi impossibile replicare alcuni degli elementi che resero uniche, memorabili e indimenticabili serie come Star Trek: The Next Generation o Deep Space Nine.

Non basta semplicemente riprendere i grandi protagonisti. Quelle serie sono come il David di Michelangelo o la Fontana dei Fiumi di Bernini. Nessuno, neanche tra mille anni, con tutta la tecnologia del mondo, potrà mai arrivare a quelle vette. Sono dei tesori da godersi e rigodersi, senza sperare che qualcuno possa replicarli.

Classificazione: 3 su 5.

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