The Haunting of Bly Manor: Recensione della serie di Mike Flanagan
Abbiamo visto The Haunting of Bly Manor, seconda stagione della serie antologica firmata da Mike Flanagan per Netflix. Questa è la recensione.
Firmata dallo stesso Flanagan, e tratta dal romanzo “Il Giro di Vite” di Henry James, la serie conta le presenze nel cast di alcuni volti già apprezzati in The Haunting of Hill House (la prima stagione), tra cui quelli di Victoria Pedretti, Oliver Jackson-Cohen e Henry Thomas. Tra le new entry, invece, spazio per Amelia Eve, T’Nia Miller, Amelie Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth.
La storia alla base dei 9 episodi è narrati da una misteriosa donna la sera prima di un matrimonio lussuoso. Protagonista una giovane chiamata ad accettare un lavoro da istritutrice in uno sfarzoso maniero noto come Bly Manor. Ma ciò che attende la giovane cambierà per sempre la sua vita.
Commento. Apprezzata da pubblico e critica solo due anni fa, la prima stagione della serie The Haunting (Hill House) ha avuto il merito di ridare luce ad un genere, il ghost stories, da anni reso quasi ridicolo da una Hollywood troppo impegnata a fare soldi più che a raccontare una vera storia di fantasmi. A tal proposito, l’attesa per The Haunting of Bly Manor nei mesi è cresciuta in maniera spropositata, spingendo in alto le aspettative degli appassionati… ignari di trovarsi dinanzi una storia di fantasmi si, ma davvero poco spaventosa.
Ebbene si, The Haunting of Bly Manor non spaventa, o per meglio dire: non nel modo in cui molti speravano. Per tutti e nove episodi si evince quell’aria di mistero, soprannaturale se vogliamo, ma il tutto si riduce ad un semplice contesto narrativo per una storia che porta con sè davvero poco di spaventoso. Mike Flanagan prende il romanzo di Henry James (Il Giro di Vite) e ne coglie solo alcuni aspetti, e questo solo per intelaiare un racconto poco brillante e talvolta sconfusionato, tra salti temporali poco richiesti ed intrecci narrativi difficile da cogliere ad una prima visione. Ciò che ne viene fuori è una banalizzazione completa del materiale originale, e soprattutto tanta delusione da parte dei tanti amanti del genere. Ma fortunatamente The Haunting of Bly Manor non porta con sè solo aspetti negativi.
Nonostante non sia da considerare una narrazione lineare, il decorrere degli eventi di The Haunting of Bly Manor è forse ciò che tiene incollato lo spettatore al televisore. Flanagan ha dimostrato nel tempo di saper raccontare una storia, anche se estremamente banale, particolarità ben accesa in questa occasione. Il regista dissemina indizi in ogni episodi, creando così una sorta di caccia al tesoro che solo verso il finale mostra i suoi frutti… forse stavolta ancora abbastanza acerbi.
Il cast è da considerare un secondo importante valore aggiunto. Flanagan, come più volte ricordato, per The Haunting of Bly Manor si è voluto affidare ad alcuni dei protagonisti di Hill House, una scelta mai come in questa occasione vincente. Victoria Pedretti ancora una volta riesce a cogliere l’essenza del suo personaggio, tra inquietudine e sofferenza. Buone le prove offerte da Oliver Jackson-Cohen e Henry Thomas, distanti il più delle volte dal fulcro del racconto, ma mai fuori posto.
Tra i nuovi volti brilla quello di Amelia Eve, che si dimostra attrice dotata di talento, e soprattutto di prospettiva, ma anche – e soprattutto – quello del giovanissima Amelie Bea Smith, straordinaria nel dare vita alla piccola Flora, un personaggio diviso tra spensieratezza e segreti inerrarabili.
Brilla la colonna sonora, sempre ben collegata ai momenti topici della serie, così come si rivela ottima la fotografia, divisa tra Maxime Alexandre e James Kniest, ognuno dei quali capace di focalizzare il momento utilizzando le giuste tonalità di colori.
Dalla nostra recensione si evince che The Haunting of Bly Manor non può che essere considerata un’occasione sprecata per Netflix, ma soprattutto per lo stesso Mike Flanagan, il cui background registico finora era risultato ineccepibile.
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